02. La rivolta - Quando le rivolte diventano una questione politica, geopolitica e di ordine mondiale

Nov 5, 2020 · 13m 6s
02. La rivolta - Quando le rivolte diventano una questione politica, geopolitica e di ordine mondiale
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Partiamo da una rivolta cronologicamente più vicina. “I can’t breathe”: sono le ultime parole di George Floyd, tenuto per 9 minuti circa sotto il ginocchio dell’agente di polizia di Minneapolis...

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Partiamo da una rivolta cronologicamente più vicina. “I can’t breathe”: sono le ultime parole di George Floyd, tenuto per 9 minuti circa sotto il ginocchio dell’agente di polizia di Minneapolis Derek Chauvin. Le ultime parole pronunciate diventano slogan dei movimenti e delle rivolte che hanno caratterizzato gli ultimi mesi degli Stati Uniti, già in subbuglio per via della pandemia da Covid-19.

Ogni rivolta che conta ha una sua particolarità, una sua storia e un suo obiettivo, ed il più delle volte, nella società “fluida” in cui siamo immersi, queste rivolte tendono ad espandersi a macchia d’olio soprattutto tra i paesi più vicini non solo geograficamente, ma anche per affinità culturale, etnica e socioeconomica. A favorire “l’esportazione” delle proteste sociali, sono stati, negli ultimi decenni, internet, i social network e le reti televisive satellitari che hanno rivelato la porosità dei confini nazionali dinanzi alla potenza dei mezzi di comunicazione odierni.

Nel 2011 il mondo arabo ha conosciuto una situazione simile per come gli eventi, attraverso i media, dilagarono nei paesi limitrofi, ma del tutto diversa per contesto geografico, culturale, sociale e per obiettivi finali. Stiamo parlando delle Primavere Arabe.

Le rivolte hanno avuto inizio tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011, quando Mohamed Bouazizi, un ragazzo Tunisino, si è dato fuoco dopo un alterco con le autorità della sua città Sidi Buozid, situata nell’entroterra tunisino, caratterizzata dall’arretratezza economica ed infrastrutturale.

Le Primavere Arabe sono il risultato del malcontento generale del mondo arabo represso dai regimi autocratici, sostenuti dietro le quinte dalle potenze mondiali occidentali. Queste ultime si sono assicurate dagli anni 90 in poi la stabilizzazione regionale attraverso la repressione dei jihadisti, i quali cominciarono a divenire un problema di rilievo soprattutto dopo il trionfo dei mujaheddin in Afghanistan contro i sovietici definiti “infedeli”.

Infine c’è una questione di fondamentale importanza, riportata poc’anzi, di Henry Kissinger «una manifestazione è per definizione democratica?»

Podcast a cura di Michele Rosito

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