39 - Colpa e peccato
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La scorsa volta ci siamo lasciati parlando di imputabilità e responsabilità dei propri atti. CONCETTO - La responsabilità trae con sé la colpa o il peccato, quando l'atto è contrario...
show moreCONCETTO - La responsabilità trae con sé la colpa o il peccato, quando l'atto è contrario alla legge morale e al dettame della coscienza retta. Colpa e peccato materialmente designano una sola e medesima cosa, ma l'idea di colpa è piuttosto relativa alla violazione dell'ordine, quale ce lo rivela la ragion pratica, mentre l'idea di peccato si riferisce più espressamente alla trasgressione di quello stesso ordine in quanto voluto da Dio.Con ciò non si nega che possa esserci peccato propriamente detto nel trasgredire una legge positiva umana; si vuol solamente sottolineare che la ragione formale del peccato sta nell' opposizione di un atto alla legge di Dio e che, per conseguenza, la violazione della legge umana è un peccato quando implica la violazione della legge divina. Il peccato, nella sua nozione più generale, è dunque un disordine, per cui un essere ragionevole si allontana da Dio, fine ultimo assoluto.
IL PECCATO GRAVE - Vi sono dei gradi nella colpa e nel peccato, secondo che l'uomo si svia o dall'ordine della ragione o dal suo fine ultimo, che è Dio. Da questo punto di vista, si dirà, in generale, che il peccato grave è quello per il quale l'uomo si allontana in modo radicale dal suo fine. Ma per esser ciò possibile, bisogna che la materia sia grave, e cioè che la legge violata sia relativa ad un precetto essenziale della legge morale, e che ci sia il pieno consenso della volontà.
Le espressioni di peccato mortale e di peccato veniale appartengono propriamente alla teologia e si riferiscono agli effetti del peccato nello stato soprannaturale, che è, di fatto, quello dell'umanità. Il peccato grave è chiamato mortale perché porta con sé la perdita della grazia, la qual perdita è una specie di morte nell'ordine soprannaturale.
Vediamo ora cosa si intenda per merito. In senso astratto, il merito è la proprietà dell'atto umano in virtù del quale il soggetto morale ha diritto ad una ricompensa, se l'atto è buono, o a un castigo, se l'atto è cattivo. In concreto, il merito è l'atto umano stesso, in quanto torna a vantaggio di un'altra persona.Si dice spesso che il merito consiste nell'accrescimento del valore morale, risultante dagli atti compiuti da un soggetto; ma l'accrescimento del valore morale, a parlare con precisione, è piuttosto un effetto del merito, inteso come un diritto alla ricompensa o al castigo. Questo diritto accresce o diminuisce moralmente il soggetto.
Il concetto di merito implica che l'atto meritorio è tale in ragione del fatto che è utile o onorevole per un altro. Per cogliere questo aspetto essenziale del merito, basta considerare che ogni atto umano, per il fatto stesso di essere umano, è meritorio o biasimevole, cioè - a profitto o a svantaggio di colui che lo compie - una specie di diritto e di credito o, al contrario, una specie di debito. In verità, ogni atto umano è imputabile a chi lo compie ed è a vantaggio o a svantaggio di qualche altra persona. Ciò è evidente per quegli atti umani che contribuiscono al benessere e alla prosperità della famiglia e della società; ma è non meno vero per gli atti più intimi che sembrano avere un carattere del tutto personale: anch'essi contribuiscono in qualche maniera al bene o al male della società, perché la perfezione di tutti è la risultante della perfezione di ciascuno. Tuttavia il merito e il demerito sono ancor più incontestabili se rapportiamo gli atti umani a Dio, che l'uomo può onorare o offendere (per quanto è in suo potere). Di qui un merito e un debito, che s'impongono anche nell'ordine puramente naturale, perché Dio, sovrano giudice e legislatore supremo, renderà a ciascuno secondo le sue opere.
DIVISIONE - Si distingue il merito di giustizia dal merito di convenienza. Il merito di giustizia o merito propriamente detto (de condigno) è un debito di giustizia. Vi è un merito di giustizia in senso stretto e in senso lato: l'operaio, per esempio, ha strettamente diritto al suo salario: ma i figli hanno un diritto soltanto in senso lato a ereditare dal padre, che, per gravi ragioni, può anche privarli dell'eredità. Il merito di pura convenienza (de congruo), al contrario, non crea un diritto propriamente detto, ma nasce da una situazione in cui la ricompensa, senza esser dovuta, è però conveniente; si dirà, per esempio, che è conveniente che il povero, il quale ha reso al ricco un servizio, anche piccolo, ne riceva una larga rimunerazione. Un altro esempio magnifico, tratto dalla teologia, riguarda l’esenzione dal peccato originale della Santissima Vergine Maria. Era infatti sommamente conveniente che colei dalla quale doveva nascere il Redentore, fosse concepita immacolata e senza macchia alcuna, come spiega S. Alfonso nella sua bellissima opera, “le Glorie di Maria”.
CONDIZIONI - Perché si abbia il merito di giustizia, bisogna che si attuino le seguenti condizioni. L'atto, da una parte, dev'essere moralmente buono e compiuto liberamente; dall'altra parte, deve procurare a colui che premia un vantaggio, sul quale si fonda il debito che egli deve pagare secondo giustizia. È così che, con la nostra perfezione morale, noi contribuiamo alla gloria di Dio, fine di tutta la creazione. Il merito, inoltre, suppone un impegno, implicito o esplicito, da parte di colui che ricompensa. Nello stato di pura natura, la promessa divina di ricompensare il compimento del dovere sarebbe chiaramente implicata nella tendenza essenziale dell'uomo alla felicità perfetta; nello stato di sopranna- tura, l'uomo ha ricevuto la promessa di una ricompensa soprannaturale, di vedere Dio faccia a faccia, com'Egli vede se stesso, di gioire della felicità ch'è propria di Dio: per ottenere questa ricompensa si esige che gli atti siano compiuti sotto l'influenza della grazia e soprannaturalmente meritori.
I GRADI DEL MERITO - Il merito è proporzionale alla bontà dell'atto, definita in funzione dei suoi tre elementi (oggetto, circostanze e intenzione), e alla perfezione dell'agente.Di solito, si pensa che la difficoltà più o meno grande dell'atto aumenti il merito; ma quest'asserzione, per essere esatta, dev'essere precisata. La difficoltà dell'atto può provenire sia dall'imperfezione morale dell'agente, sia dalla grandezza dell'azione. Nel primo caso, la difficoltà non aumenterebbe il merito, avendo la sua causa in una insufficienza del soggetto; altrimenti si sarebbe costretti ad accettare la conseguenza paradossale (che talvolta si sente enunciare) che la virtù, ossia l'abitudine al bene, diminuirebbe il merito col rendere più facile e spontanea l'obbedienza al dovere. Nel secondo caso, la difficoltà accresce realmente il merito, in virtù della proporzione in cui esso deve trovarsi con l'oggetto e le circostanze dell'attività morale.
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