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52 - XVIII Domenica dopo Pentecoste

52 - XVIII Domenica dopo Pentecoste
Oct 9, 2022 · 8m 52s

Quand’ecco Gli presentarono un paralitico giacente nel letto Sebbene siamo solo in ottobre, e quindi l’Avvento è ancora un po’ lontano, la liturgia inizia già oggi a volgere la nostra...

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Quand’ecco Gli presentarono un paralitico giacente nel letto
Sebbene siamo solo in ottobre, e quindi l’Avvento è ancora un po’ lontano, la liturgia inizia già oggi a volgere la nostra mente verso ciò che non dovrebbe mai essere troppo lontano dal pensiero di un cristiano: il ritorno di Nostro Signore nella gloria. San Paolo dice ai Corinzi che la grazia che hanno ricevuto attraverso il battesimo e la cresima dà loro il potere, tra le altre cose, di attendere la venuta di Nostro Signore Gesù Cristo e di essere trovati innocenti nel giorno della Sua venuta. Altrove, nella stessa lettera, dice loro che passa la scena di questo mondo. Se questo era vero nel I secolo, quanto più lo è oggi, per noi, che siamo quasi venti secoli più vicini alla fine. Anche l’Introito e il Graduale della Messa ci ricordano quel grande giorno: O Signore – dice l’Introito –, dà pace a coloro che sperano in Te, e i Tuoi profeti siano riconosciuti fedeli: ascolta la preghiera del Tuo servo e del popolo Tuo Israele. Mi rallegrai per ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore. Il Graduale lo ripete: Mi rallegrai di ciò che mi fu detto: andremo alla casa del Signore. L’ultimo giorno, quando Cristo verrà di nuovo, la Chiesa gioirà, perché avrà terminato il suo tempo di prova in questo mondo, ed entrerà nella casa del Signore, cioè in Paradiso.
Ma perché il Signore tarda a dare questa gioia al Suo popolo fedele? Perché sono passati già quasi venti secoli, durante i quali la Chiesa ha avuto così tanto da soffrire? San Pietro ce ne ha dato il motivo nella sua seconda Epistola: Il Signore non ritarda nell’adempiere la Sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il ritorno di Cristo nella gloria è “ritardato”, per usare un’espressione umana, perché Dio sta ancora dando all’umanità il tempo di pentirsi. C’è un numero stabilito di eletti da raggiungere, un numero che solo Dio conosce e, finché non sarà raggiunto, i giorni di questo mondo devono continuare. E finché il mondo dura, tutti hanno la possibilità di rivolgersi a Dio ed essere salvati.
Dico che tutti sulla terra hanno la possibilità di essere salvati: e questo è vero dal punto di vista di Dio, il Quale, come ci dice il libro della Sapienza, non odia nulla di ciò che ha fatto. Eppure, da un altro punto di vista, ci sono molte persone che al momento, per quanto sta in loro, non hanno la possibilità di salvarsi. Possiamo anche dire che l’umanità, considerata nel suo insieme, è come il paralitico del Vangelo, che giace impotente sul suo letto. O che un gran numero di uomini ha altrettanto poco potere di compiere atti di fede, speranza e amore, atti che possono portarli in Paradiso, quanto ne aveva quel paralitico per alzarsi e camminare. Non è in potere della mera natura umana compiere questi atti salvifici. La Colletta della Messa di oggi ce lo ricorda: tibi sine te placere non possumus, “Senza di Te, non possiamo piacerTi”.
Ma quale atteggiamento dobbiamo avere noi, come cattolici, nei confronti di coloro che si trovano in questa posizione, cioè che sono paralizzati dalla loro mancanza delle tre virtù teologali? Dobbiamo alzare le spalle e dire: “Non c’è niente che possiamo fare a riguardo; l’hanno voluto loro e ora si arrangino”? Certo che no: il nostro modello sono i quattro uomini che hanno portato il loro amico paralizzato a Gesù, su una barella. Uno degli altri Vangeli mostra la loro determinazione e ingegnosità: non essendo in grado di farsi strada tra la folla che era in piedi intorno alla porta della casa dove si trovava Gesù, questi quattro uomini tolsero le tegole dal tetto e calarono giù il loro amico in quel modo. San Matteo descrive la risposta di Nostro Signore: Veduta la loro fede, Gesù disse al paralitico: Figlio, confida: ti sono perdonati i tuoi peccati. Si noti che non dice “Veduta la sua fede”, ma veduta la loro fede. Cristo assolve il giovane dai suoi peccati non tanto a causa della fede del giovane, ma per ricompensare la fede dei suoi amici.
Possiamo portare i nostri amici paralizzati a Cristo. Prima di tutto, e in modo più potente, con la preghiera. Quando dimostriamo la nostra fede in Lui perseverando nella preghiera, giorno dopo giorno, o presentandoci davanti alla Sua presenza reale nel Santissimo Sacramento, Egli non può non esserne toccato, proprio come fu toccato nel vedere fino a che punto andarono gli sforzi dei quattro uomini per portare il giovane davanti a Lui. Egli ricompenserà sempre le nostre preghiere per i nostri cari. Ma non solo per i nostri cari, che conosciamo personalmente. Facciamo bene, a volte, a offrire a Dio l’intero genere umano, che è per lo più paralizzato. Qualcuno, da qualche parte, trarrà sempre beneficio da una tale preghiera, anche se potremmo non scoprire in questa vita chi sia. Con queste preghiere acceleriamo in qualche modo il ritorno di Cristo, poiché la fine del mondo non può arrivare fino a quando il numero degli eletti non sarà completato.
Ma oltre alle preghiere, ci sono anche le conversazioni. Quando le persone vivono senza Dio, di solito arriva un momento in cui si rendono conto che la loro vita non li ha resi felici. O non hanno realizzato le loro ambizioni, oppure le hanno soddisfatte ma non sono ancora contenti. Se queste persone sono nostri parenti o amici, quello può essere un buon momento per parlare con loro e per invitarli a ricominciare, ma in un modo nuovo. Tutti desiderano essere felici: così, quando una persona scopre che il suo modo di vivere non gli ha dato la felicità, è più pronta ad ascoltare chi ne propone un altro. Possiamo invitarli a ricominciare andando a confessarsi. E alcune persone sono più propense ad accettare questo invito quando giunge loro da un amico laico che da un sacerdote.
Penso che questo Vangelo offra un’immagine di laici e sacerdoti che lavorano insieme per la salvezza delle anime. San Matteo suggerisce questo con la frase che usa alla fine, dopo che Cristo ha dimostrato con il miracolo che ha davvero perdonato i peccati del giovane. Il Vangelo non dice che la folla glorificò Dio per aver dato tale potere a un uomo, ma che glorificarono Iddio per aver dato tanto potere agli uomini. San Matteo vuole indicare che il potere di perdonare i peccati, che il Signore ha portato sulla terra, rimane sulla terra fino alla fine dei tempi. Ad ogni ordinazione sacerdotale, Dio dà questo grande potere ad alcuni uomini. Ma dà un potere anche ai laici, il potere di portare i loro fratelli malati da Gesù per essere guariti, con le loro preghiere, il loro buon esempio e, quando si presentano le giuste circostanze, con le loro parole di incoraggiamento, e forse usando un po’ di ingegnosità, come i quattro uomini del Vangelo. Sacerdoti e laici devono continuare a cooperare in questo modo, fino a quando l’ultimo sacerdote avrà alzato la mano e avrà pronunciato per l’ultima volta le sante parole di assoluzione, e l’ultimo peccatore, come il paralitico del Vangelo, si sarà alzato e se ne sarà andato a casa, alla casa di un’eternità beata.
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Author radioromalibera.org
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