Altro che partecipare... l'importante è vincere
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show moreALTRO CHE PARTECIPARE... L'IMPORTANTE E' VINCERE!
Sant'Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, spiega negli Esercizi spirituali quanto sia fondamentale lottare per la vittoria, anche perché chi perde nella vita non può accontentarsi di aver partecipato
di Corrado Gnerre
Tempo fa comparve un piccolo articolo su ilgiornale.it dal significativo titolo "Il rugby buonista che esulta per le sconfitte".
Sarcasticamente si commentava una sconfitta della nazionale italiana di rugby; sconfitta che, al di là delle previsioni, non era stata molto pesante. Giustamente l'autore faceva notare che è poco condivisibile il noto adagio di decourbertiana memoria: l'importante non è vincere, ma partecipare. No: l'importante è vincere e solo vincere. Perché? Perché la vita è così.
Prendendo spunto da questo, facciamo alcune riflessioni che possono servire per la nostra Fede.
Sant'Ignazio era un militare, ma prima di essere un militare, era un uomo pratico e molto attaccato alla concretezza. È famoso non solo per aver fondato il grande ordine religioso dei Gesuiti, ma anche per aver donato a tutti i cristiani quel capolavoro che sono gli Esercizi spirituali.
In realtà, questi Esercizi non furono solo farina del suo sacco; si trovava nella grotta di Manresa, dove stava meditando per essere davvero certo che il Signore lo chiamasse a diventare sacerdote, quando la Madonna gli apparve e gli ispirò (c'è chi dice: gli dettò) questi Esercizi. Basterebbe solo questo per capire quanto diversi e quanto molto più importanti siano questi Esercizi rispetto a tutti gli altri.
I DUE STENDARDI
Ebbene, in questi Esercizi sant'Ignazio invita, per le meditazioni, a fare la cosiddetta 'composizione di luogo', cioè ad immaginare quanto più possibilmente i misteri che si vanno a contemplare, cercando di coinvolgere tutti i sensi. Per esempio, riguardo alla Natività, bisogna immaginare se la stalla fosse grande o piccola: quanto pungente era il freddo? quanto intenso l'odore della paglia?... Questo non per gioco, ma perché l'uomo è unione di spirito e di corpo; e più facilmente arriva alle vette più alte se conduce anche il corpo in questo viaggio. Il Cristianesimo non ha mai tollerato, né tollererà mai, alcun dualismo di sorta riguardo il rapporto corpo-anima.
Ma non è di questo che dobbiamo parlare, quanto di una meditazione in particolare degli Esercizi di sant'Ignazio, quella cosiddetta "dei due stendardi". Il Santo dice (provateci anche voi che state leggendo) di immaginare una vasta pianura. All'estremità di questa vi sono due città. Una è brutta, disordinata, sporca, chiassosa; l'altra è bella, ordinata, pulita, silenziosa. La prima è Babilonia; la seconda, Gerusalemme.
Fuori le mura di Babilonia c'è un mostro seduto su un trono fumante; il suo viso è terrificante, gli occhi fiammeggianti. È Satana che, sotto il suo stendardo infernale, chiama a raccolta i suoi.
Presso le mura di Gerusalemme, invece, c'è Gesù, bello, ordinato, pulito, che, sotto lo stendardo celestiale, chiama anche Lui a raccolta i suoi.
Ebbene, proprio nel vivo della meditazione, sant'Ignazio invita ognuno a porsi questa terribile domanda: e tu, sotto quale stendardo decidi di combattere?
Domanda terribile, a cui non si può sfuggire. Ma io, veramente, a quest'ora, terrei un servizio da fare... No! Devi rispondere! Ma io sono pacifista... No! Tu devi decidere per chi combattere!
O CON ME, O CONTRO DI ME
Eh già! Perché il dramma è proprio qui: sant'Ignazio fa capire che se si decide di non decidere, se si decide di non schierarsi, già si è fatta una scelta, già si è scelto Satana.
E il motivo è molto semplice.
Non solo Gesù dice che chi non è con Lui è contro di Lui (Matteo 12), ma già nel Protovangelo i termini della questione sono chiarissimi. Dopo il peccato originale, Dio dice al serpente che avrebbe posto inimicizia tra lui e la Donna (l'Immacolata), tra la stirpe di Lei e la stirpe del serpente, tra coloro che si schiereranno sotto il manto della Vergine e coloro che si metteranno sotto colui che cercherà di rendere inutile la Redenzione. Dio non indica una terza stirpe, non c'è: o si è con Cristo o contro di Lui.
D'altronde chi vive nel peccato è come se dicesse al Crocifisso: che sei morto a fare? Potevi benissimo fare altro, per me inutilmente hai effuso il tuo sangue sulla croce. Che terribile responsabilità!
Ciò cosa significa? Che la storia non è una burletta. Che la vita è più seria di quanto possiamo immaginare. Dalle nostre scelte dipende il destino eterno di ognuno di noi; e la vita che viviamo è una scelta di campo, una battaglia. Guai a ritenerla un gioco dove basta solo partecipare.
I medievali che, pur con tanti limiti, hanno avuto il merito di incarnare queste convinzioni nella vita quotidiana, nei loro costumi e nelle loro manifestazioni culturali, quando giocavano erano convinti che valesse partecipare nella misura in cui era possibile la vittoria. Nel celebre Palio di Siena, per esempio, vince chi vince, e il secondo paradossalmente non arriva secondo, ma ultimo, nel senso che vince solo il primo e tutti gli altri è come se arrivassero ultimi.
E' nella modernità che nel gioco, nello sport, si fa strada la mentalità non solo di premiare il secondo, il terzo... ma anche di ritenere che "basterebbe partecipare".
Sciocchezze!
Immaginatevi le anime dannate che dicono: ma sì, che ci importa, abbiamo comunque partecipato. Loro che desidererebbero non essere mai nate.
Nel medioevo il gioco era metafora della vita; e la vita, cristianamente, è fatta per vincere e per conquistare il Paradiso.
Se non si taglia questo traguardo, a cosa serve la vita?
Nota di BastaBugie: la celebre frase di Pierre de Coubertin (1863-1937), il creatore dei Giochi Olimpici moderni secondo la quale l'importante non è vincere, ma partecipare va spiegata bene. Questa è una frase che, a differenza di ciò che solitamente si dice, suona come una sorta di tradimento dello sport. Certo, dipende anche da come la si interpreta. Se per sport si intende il fatto che nessuno si deve sentire escluso e che già partecipare è molto importante, una frase di questo tipo va anche bene. D'altronde la frase di de Coubertin, ripresa dal vescovo episcopaliano Ethelbert Talbot (1848-1928), prosegue così: la cosa essenziale non è la vittoria, ma la certezza di essersi battuti bene. Ma se a questa frase si dà un'interpretazione massimalista, quasi di svilimento della tensione agonistica, quasi come se l'agonismo fosse secondario, allora diviene di fatto un tradimento dell'essenza dello sport.
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