C’era una volta una principessa bianca e bellissima che per colpa di una strega brutta e invidiosa finisce inerme da qualche parte e solo l’amore di un aitante uomo valoroso e bianco la può salvare. Cenerentola era una stronza, Raperonzolo faceva sesso (malandrina!), nella versione di Basile La bella addormentata nel bosco si sveglia dopo aver partorito (…). Le storie sono di chi le legge, e - cliché radicati a parte, nel XXI secolo si iniziano a trovare degli inghippi in queste fiabe in cui l’amore è sempre il solito e i personaggi sono stereotipati: la principessa da salvare, il principe eroico, cattivi uomini che sono cattivi per qualche mostruoso espediente magico e cattive donne che sono cattive perché sono gelose senza magia (eheheheheh), ma a parte i nuovissimi film Disney in cui le principesse bastano a sé stesse, più o meno, il marketing sarà sempre governato da vestiti con gli sbrillùccichi e scarpette di cristallo per le bambine e spade e vestiti da principe per i bambini (andate almeno una volta in un negozio di giocattoli). Saranno anche sicuramente esistite storie con relazioni omosessuali dato che la mitologia ne riporta assai, ma non ci è mai arrivata traccia - si dice che La Sirenetta fosse la voce dell’amore di Andersen per un uomo, ma chissà. Lou Loubie guarda le fiabe attraverso la storia e la storia attraverso le fiabe, specchio incontestabile della società in cui nascono e si evolvono: trattasi infatti per lo più di storie eteronormative, abiliste, razziste e sessiste che si sono tramandate con qualche modifica attraverso i secoli ma che mai hanno perso il loro piglio discriminatorio. E con questo piglio discriminatorio, siamo cresciuti noi (ma forse non i nostri figli/nipoti? Chissà se fra qualche secolo saremo considerati i primi ad aver raccontato una società più inclusiva. Spoiler: ci credo poco). Nel nostro immaginario che volente o nolente queste fiabe hanno contribuito a plasmare non c’è spazio per le personalità in cui non ci riconosciamo a pieno. E così, ora, i cattivi non sono cattivi davvero (cit), ma hanno un background doloroso che li ha trasformati; i personaggi seppur rimangano stereotipati vengono inseriti in un contesto condivisibile, i riadattamenti si fanno più inclusivi ma con quella vena ancora troppo inclusivitywashing (si dice?) che tende a invalidare l’intera causa. Ma questo lo penso io, fra 600 anni magari, la Disney, persa per la strada qualche testimonianza della realtà odierna in cui una donna nera rimane all’ultimo gradino di una struttura gerarchica definita sonantemente, col suo live action de La Sirenetta sarà considerata la pioniera di un cambiamento della società. Ahinoi, la Storia non viene scritta dai vinti, ma anche le storie non vengono raccontate dai discriminati.
show less