Qui, altrove. Le città degli altri. Casa è dove qualcuno o qualcosa ti aspetta. Raccontiamo le città raccontate, spacciamo ricordi di viaggio. La letteratura è un biglietto di prima classe. Sei. Fifties. Alberto Arbasino a Londra. Quale cuore non ansima seguendo il Big Ben? Se lo chiede Iosip Brodskij e non abbiamo motivo di dargli torto. Per noi di qua dal mare, per la razza di chi rimane a terra, naufraghi per mancanza di porto sul continente isolato, Londra è un arabesco che si nasconde dietro la nebbia, e sotto la pioggia che niente fermerà, feltro, latta o corona, e siamo ancora a Iosip Brodskij. Londra fuma e grida, così bassa, così scura, così bella. Westminster, Bloomsbury, Piccadilly, ponti su ponti, la prospettiva incerta del Tamigi, ogni passo è un salto nella storia: il parlamento, la corona, la culla dell’Occidente, la porta dell’Oriente, Egitto, India e molto oltre, Londra capitale dei mari e regina dei commerci. Isola nell’isola. Lo sa bene Alberto Arbasino, il più insulare dei nostri, uomo di genio e scrittore a tutto tondo, recensore, giornalista, narratore eccessivo, accumulatore, archivista, sacerdote della conversazione infinita, della nota in forma di romanzo e del romanzo in forma di nota.
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