Il mensile della Coop sostiene il diritto ad abortire i bambini ma piange per la strage dei pulcini
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IL MENSILE DELLA COOP SOSTIENE IL DIRITTO AD ABORTIRE I BAMBINI, MA PIANGE PER LA STRAGE DEI PULCINI di Mauro Faverzani
Non mancano di suscitare quanto meno perplessità i due titoli affiancati sul numero di settembre del mensile Con, edito dalla Coop, alle pagine 36 e 37. Titoli, che cozzano l'uno contro l'altro. Sulla facciata di destra, «Il diritto all'aborto negato anche online» e, su quella di sinistra, «Mettere fine alla strage dei pulcini maschi».
Nel primo articolo non una bioeticista, nemmeno una filosofa od una sociologa, bensì una «docente ed esperta di comunicazione web», come viene presentata, ovvero la professoressa Alessandra Farabegoli, definisce «inquietante», dopo la famosa sentenza della Corte Suprema americana, che, negli Stati Usa ove l'aborto sia stato bandito per legge, le autorità possano richiedere l'accesso ai dati individuali, per capire chi vi si sia sottoposto e chi no attraverso le app per il monitoraggio del ciclo, quelle per la geolocalizzazione presso cliniche abortiste di altri Stati e l'eventuale acquisto di medicinali abortivi. Perciò «le attiviste pro-choice hanno iniziato a consigliare di interrompere» quelle app, «senza limitarsi a disinstallarle dallo smartphone, ma richiedendo la cancellazione completa dei dati del proprio account». Esse temono anche quei gruppi pro-life, che fanno ricorso a database commerciali «per indirizzare le loro campagne a donne, i cui comportamenti lascino presumere l'intenzione di abortire»: sia mai che qualcuna di queste possa ripensarci e salvare la vita del figlio, che tiene in grembo! La professoressa Farabegoli conclude prevedibilmente il proprio articolo con l'appello, da donna a donne, a «continuare a impegnarci per difendere e ampliare i nostri diritti».
Dopo tanto accanimento a favore dell'aborto lascia perplessi il vigore con cui, nella pagina accanto, ci si scaglia invece contro «l'uccisione dei pulcini maschi nelle filiere delle galline ovaiole», perché «considerati "scarti" improduttivi», definendola una «prassi inutile e crudele». Lo stridore tra le due notizie è evidente. Com'è possibile che ai pulcini maschi si voglia riconoscere quel diritto alla vita che viceversa viene negato ai bambini nel grembo materno? Com'è possibile definire «prassi inutile e crudele» l'eliminazione dei pulcini e non l'aborto? Com'è possibile inorridire per il fatto che i pulcini vengano definiti «scarti improduttivi» e non per il fatto che i piccoli umani abortiti vengano considerati nelle cliniche e negli ospedali «materiale organico di scarto»?
Del resto, l'antispecismo, specie nelle Sinistre, sta galoppando, è diventato una delle nuove battaglie ideologiche, da tenere ben nascosta durante la campagna elettorale, ma da sventolare a più non posso in tutte le altre occasioni, come è accaduto con i vari «Gay Pride» svoltisi su e giù per la Penisola nei mesi scorsi. A beneficio di chi non sappia in cosa consista, l'antispecismo vorrebbe tutte le specie viventi col medesimo status morale e col medesimo valore, sullo stesso piano insomma, il che consente assurdità quali, appunto, quella di riconoscere più diritti ai pulcini che all'embrione umano e di preoccuparsi più per i primi che per il secondo! Incredibile!
È quanto, del resto, già avviene in Spagna, dove il governo socialcomunista, guidato da Pedro Sánchez, ha dato il via libera alla cosiddetta legge «sul benessere e sulla protezione degli animali», che intende, per l'appunto, azzerare la macellazione degli animali domestici (prevista solo per motivi di salute pubblica o di eutanasia), eliminare le pratiche che causino loro sofferenza, nonché impedire il loro abbandono, oltre ad una sfilza di altre tutele. Secondo l'agenzia InfoCatólica, tale normativa «concede più diritti agli animali che agli esseri umani non ancora nati»; questi ultimi, in Spagna, «possono essere sacrificati sugli altari delle cliniche abortive» e non solo per eventuali problemi di «salute pubblica»...
Insomma, nel mondo del non-senso è giunta l'ora di riportare un po' di ordine...
Nota di BastaBugie: Intervistato da Rai Tre, Mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la vita, tocca il fondo della sua collaborazione formale al male definendo la legge 194 «un pilastro della società» e dicendo che l'aborto non «è assolutamente in discussione».
Tommaso Scandroglio nell'articolo seguente dal titolo "Fatevene una ragione, in Italia l'aborto è un diritto (purtroppo)" critica chi giustifica la legge 194 dicendo che questa si limiterebbe a non punire l'aborto, ma senza affermarlo come un diritto. Invece è proprio questo che dice la legge sull'aborto. La 194 non tollera il male, ma lo presenta come un bene.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 30 agosto 2022:
L'influencer Chiara Ferragni e il Presidente della Pontificia Accademia per la Vita Mons. Vincenzo Paglia hanno contribuito, seppur in diverso modo, ad accendere i riflettori per qualche giorno sul tema dell'aborto e su quello della legge 194.
Qualche anima bella anche in casa cattolica ha riproposto un classico cavallo di battaglia del pensiero deviato pro-life: la 194 non attribuisce alla donna nessun diritto di abortire. L'aborto, secondo la 194, sarebbe un reato non punibile laddove si verificassero le condizioni indicate dall'articolato di legge, così come avviene in Germania. Insomma, la 194 non sarebbe alla fine una cattiva legge che permette di abortire, ma una buona legge che tollera l'aborto ed evita di punire la donna perché sempre vittima, come il suo bambino. Questa pietistica narrativa è erronea e ne avevamo già parlato a suo tempo.
Per la 194 l'aborto è un diritto. Tre sono almeno le motivazioni di carattere giuridico che ci permettono di affermarlo. La prima: l'azienda ospedaliera e quindi in subordine il medico sono tenuti a praticare l'aborto laddove richiesto. Che il medico abbia un dovere di fornire l'aborto è provato dal fatto che quest'ultimo può ricorrere all'obiezione di coscienza per astenersi dal praticare aborti. Se non ci fosse un obbligo, non avrebbe avuto senso inserire l'istituto dell'obiezione di coscienza nel testo di legge. E se dunque esiste un dovere di praticare l'aborto vuol dire che in capo alla donna esiste il corrispettivo diritto di chiedere l'aborto. Se c'è un dovere vuol dire che da qualche parte c'è un corrispettivo diritto. Predicare il primo senza il secondo sarebbe irragionevole. Oppure e a rovescio: se non ci fosse un diritto di abortire perché parlare di dovere di fornire l'aborto?
Secondo motivo per cui possiamo affermare che secondo la legge 194 abortire è un diritto. Ampia giurisprudenza ha riconosciuto da tempo il risarcimento in sede civile per nascita non desiderata. Detto in altri termini, il bambino nasce con qualche malformazione o patologia. Ormai è troppo tardi per ucciderlo, però i genitori si rivolgono al giudice per chiedere i danni per nascita non voluta: se avessero saputo che il loro bambino non era perfetto, avrebbero preferito abortire, scelta resa impossibile dal fatto che non avevamo in mano le informazioni esatte per conoscere lo stato di salute del nascituro. Laddove il risarcimento è stato accordato, tale diritto si poggia sul diritto della donna di conoscere lo stato di salute del feto. Questo diritto a sua volta si fonda sul diritto di scegliere se portare avanti la gravidanza (ecco un'espressione del neo diritto alla genitorialità) oppure se abortire. Quindi il diritto frustrato di essere informata sulle condizioni di salute del feto si fonda sul diritto di abortire, quando si chiede il risarcimento danni per nascita non voluta. Se non esistesse il diritto ad abortire verrebbe meno anche il diritto al risarcimento: solo un diritto non rispettato può permettere di chiedere i danni.
Terzo motivo: sono i giudici a più riprese nelle loro sentenze che si riferiscono all'aborto come un diritto. Questo poi, volendo guardare oltre la 194, è la tendenza prevalente in Europa dove, ad esempio, in Francia e nel Regno Unito si stanno studiando progetti di legge per dichiarare l'aborto diritto fondamentale. Lo stesso Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che procede in questa direzione.
Non è quindi corretto interpretare la pratica abortiva così come disciplinata dalla 194 come un reato non imputabile per alcune cause di giustificazione, anche perché il reato di aborto è stato formalmente abrogato. Come si potrebbe, allora, parlare ancora di reato di aborto? Vero è che nella 194 vi sono alcune sanzioni, ma non riguardano l'aborto in quanto tale, bensì alcune procedure connesse all'aborto. Ossia abortire è un diritto ma solo se segui alcune procedure il cui mancato rispetto fa scattare una pena.
In conclusione, perché tanta insistenza nel negare che per la 194 abortire sia un diritto? Perché, come accennato sopra, si vuole far passare anche in casa cattolica il concetto che la 194 alla fine è una buona legge e come tale è recuperabile. Addirittura potrebbe dare buoni frutti se provassimo a spremere da essa il meglio. Ma la ratio della 194 - ossia il suo Dna, il suo fine principale, il suo succo - è tanto immutabile quanto chiara: tu donna hai il pieno diritto di uccidere tuo figlio.
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