Il nuovo libro di Rod Dreher lancia l'allarme del totalitarismo democratico
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IL NUOVO LIBRO DI ROD DREHER LANCIA L'ALLARME DEL TOTALITARISMO DEMOCRATICO di Andrea Ingegneri
Scriveva il grande dissidente russo Aleksandr Solgenitsin: «Ed è proprio qui che si trova la chiave della nostra liberazione, una chiave che abbiamo trascurato e che pure è tanto semplice e accessibile: il rifiuto di partecipare personalmente alla menzogna. Anche se la menzogna ricopre ogni cosa, anche se domina dappertutto, su un punto siamo inflessibili: che non domini per opera mia!».
Negli ultimi decenni intere generazioni si sono illuse di poter limitare il campo di azione del vivere quotidiano a specifiche aree di interesse: la carriera, gli hobby e l'intrattenimento personale. Mantenere vivo l'impegno politico e prodigarsi per la conservazione dei valori fondanti del mondo libero sarebbe stato compito di qualcun altro. Abbiamo assistito ad una progressiva disaffezione dalla cosa pubblica, con l'affermarsi di un modello di società individualista, proteso a privilegiare il soddisfacimento di bisogni materiali per mezzo di un consumo frenetico, e a guardare gli aspetti rimanenti con superficialità quando non addirittura con disprezzo. In realtà i fattori che hanno permesso ciò sono molteplici, ma ci basta constatare che aver dato per scontate le nostre libertà senza tener vive le virtù per mantenerle integre può aver presentato un duro prezzo da pagare, ossia il rischio di perderle senza troppe cerimonie. Non interessarsi di politica comporta che sarà la politica a interessarsi di noi, in modi che potrebbero non piacerci. Appisolarsi, in democrazia, può comportare quindi il risvegliarsi in qualche forma di dittatura, non sempre esplicita come quella vissuta dai nostri nonni, ma non per questo meno insidiosa dei sistemi totalitari del passato. Si è più volte discusso dei rischi della cosiddetta "dittatura del politicamente corretto", una definizione senz'altro significativa ma che tuttavia non coglie pienamente i connotati della minaccia che stiamo vivendo.
Un prezioso monito a riguardo ci è stato dato in una celebre intervista nel 1984 da Yuri Alexandrovich Bezmenov, l'ex agente del Kgb disertore in Canada, che ha illustrato come le insidie del totalitarismo avanzino per vie più subdole di quelle costruite ad arte dai film di spionaggio alla 007. Il grosso dell'attività passa invece per un lento ed estenuante logorio teso a fiaccare moralmente una generazione della popolazione da colpire, soprattutto attraverso i canali dell'istruzione, avviando un processo a lungo termine che può protrarsi fino ad alcune decine di anni. Opportunamente de-moralizzate, le vittime perdono irreversibilmente la capacità di intendere ogni dato oggettivo fuori dai termini della propaganda subita, e di agire al di là degli schemi dei manipolatori. A quel punto azioni specifiche di destabilizzazione trovano terreno fertile per avviare, sulla leva su una crisi scatenante, la cosiddetta "normalizzazione", ovvero l'accettazione di fatto del nuovo regime ormai manifesto. O potremmo dire la "nuova normalità", per usare un termine oggi più in voga.
Questa constatazione un po' caustica dovrebbe indicare che, rispetto ai continui attacchi che subiscono le libertà e i diritti fondamentali, non c'è niente di nuovo sotto il sole. Gli spunti migliori per comprendere il presente, per quanto tecnologicamente evoluto e globalizzato, possono venire ancora una volta dalla memoria di quel triste passato che, per un abbaglio del progresso, avevamo accantonato pensando che non sarebbe più tornato. Alexandrovich viveva nella paura che sottovalutare le vie traverse della propaganda avrebbe fatto precipitare rapidamente gli Stati Uniti in un regime comunista. Temeva che a quel punto non ci sarebbe stato più alcun Paese al mondo dove andare a disertare. Un timore che fortunatamente non si è concretizzato, almeno per ora, ma che non può lasciarci indifferenti vista l'incalzante compressione di diritti ed il diffondersi di varie forme di censura.
LA RESISTENZA DEI CRISTIANI AL TOTALITARISMO MODERATO
Mantenere alta l'attenzione è certamente utile ma di per sé non è sufficiente. Gli sforzi di opposizione vanno costruiti su una solida impalcatura che aiuti a leggere le mosse della parte avversa alla luce dell'immenso bagaglio culturale dei passati fronti di resistenza, con le relative strategie di contrasto che nel corso della storia hanno mostrato efficacia. A tale riguardo Rod Dreher, con il suo ultimo libro dal titolo "La Resistenza dei Cristiani - manuale per fedeli dissidenti" offre una miniera inesauribile di conoscenze, sapientemente organizzate e fruibili, per comprendere e reagire alla nuova minaccia del totalitarismo moderato, cioè la forma dal volto gentile con cui il regime emergente sta cercando di imporsi senza dare troppo nell'occhio.
La versione italiana di quest'opera arriva a circa un anno dalla sua pubblicazione in lingua originale del settembre 2020, momento in cui la crisi sanitaria, ad oggi ancora in essere, non aveva rinnovato il suo impatto devastante con l'imminente arrivo della seconda ondata. Essendo forse percepito come un fenomeno ormai destinato ad esaurirsi, la portata rivoluzionaria dell'emergenza Covid quasi non appare nel testo, che si limita a evidenziare come i governi abbiano manifestato incapacità nel farvi fronte efficacemente. Viene offerto a riguardo un interessante parallelismo con un'imponente carestia nella Russia pre-rivoluzionaria. Qui l'assenza di risposte significative da parte del sistema zarista aveva alimentato un crescente malcontento popolare che sarebbe sfociato in un desiderio generalizzato di rinnovamento politico, di cui il comunismo rivoluzionario avrebbe poi tratto beneficio per imporsi, con gli esiti che ben conosciamo. Sebbene tale confronto si concentri sulla situazione negli Usa, come il resto delle numerose riflessioni presenti nel libro, i contenuti sono facilmente adattabili al contesto allargato del mondo occidentale cosiddetto democratico, inclusa l'Italia.
Quali sono gli elementi di novità di questo totalitarismo moderato, ed in che modo può coglierci impreparati? La prima parte dell'opera cerca di rispondere a questa domanda, illustrando che sarà diverso dal totalitarismo dell'Urss. Indosserà una maschera di gentilezza, celando dietro nobili finalità di giustizia sociale il proprio odio verso chi si opporrà alla sua ideologia utopica. Cercherà di sottometterci in tutti gli aspetti della vita umana, distruggendone l'essenza. Incardinandosi nella cultura terapeutica, diffusa ormai ovunque, farà leva sul diritto di ognuno a perseguire la felicità nel modo che ritiene più opportuno per ribaltare valori morali o per sminuire l'inviolabilità di certi diritti. Individuando delle categorie di oppressi da riscattare, si nutrirà del nobile intento per alimentare un «processo di demagogia spirituale e accanimento retorico» in grado di tramutare «l'attenzione nei confronti delle vittime in un controllo totalitario e in un'inquisizione permanente». Va notato che qui l'uso del tempo al futuro è solo un artificio retorico, dato che alcuni di questi elementi sono già rilevabili nell'esperienza di vita quotidiana, ad uno stadio anche avanzato.
VIVIAMO OGGI IN UNO STATO PRE - TOTALITARIO
Possiamo infatti rinvenire nella società di oggi vari elementi da Stato pre-totalitario, e trarre inquietanti parallelismi con situazioni di declino che nel passato hanno preceduto l'avanzata di feroci regimi. Tra questi citiamo una generale incapacità delle élite di tramandare alle nuove generazioni la fiducia verso le istituzioni, anche religiose; una crescente atomizzazione sociale, mista a solitudine, risultante anche dall'emarginazione degli anziani, abbandonati alla Tv, o dei rapporti virtuali costruiti con Internet che creano l'illusione del contatto umano; un insano desiderio di trasgressione che porta a un interesse eccessivo per la sessualità, accompagnato dalla diffusione della pornografia che procede di pari passo con la disaffezione verso l'istituto naturale della famiglia o dei valori tradizionali. Individui che, liberati di ogni legame con la religione, finiscono con il ritrovarsi privi di un senso condiviso dello scopo, con la conseguente tentazione di compensare questo vuoto cercando risposte e solidarietà nell'adesione ai movimenti totalitari.
Nel disseminare questi elementi come semi velenosi, emerge la figura dei Social Justice Warrior. I guerrieri della giustizia sociale che, animati in prima battuta da un «urgente sentimento di compassione», finiscono con l'abbracciare «una politica aggressiva e punitiva di stampo bolscevico». Come i bolscevichi ritengono, infatti, che la giustizia dipenda dall'identità e la fedeltà ad un gruppo di appartenenza; diffondono il loro vangelo per mezzo di agitazioni intellettuali, ad esempio nelle università, così da lasciare il segno in chi si troverà negli anni prossimi a rivestire un ruolo importante. Vivono nella convinzione che la scienza sia dalla loro parte ma, curiosamente, quest'impostazione non li conduce ad assumere una modalità pacata di dialogo. In realtà, i Social Justice Warrior sono membri di una comunità morale motivata dall'ideologia, basata su dichiarazioni assiomatiche che non possono essere confutate. Il loro agire è imperniato sul rigore della dottrina e sull'atteggiamento inquisitorio che impedisce ogni dialogo costruttivo: dialogare significa per loro dimostrare di avere ragione agli avversari che, pentiti, si piegano al credo della giustizia sociale.
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Author | BastaBugie |
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