L'impero romano crollò per l'immoralità diffusa
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=3257 L'IMPERO ROMANO CROLLO' PER L'IMMORALITA' DIFFUSA di Roberto de Mattei La data ufficiale della caduta dell'Impero romano di Occidente è il 476 dopo Cristo. In quell'anno, infatti,...
show moreL'IMPERO ROMANO CROLLO' PER L'IMMORALITA' DIFFUSA di Roberto de Mattei
La data ufficiale della caduta dell'Impero romano di Occidente è il 476 dopo Cristo. In quell'anno, infatti, il barbaro Odoacre, dopo avere ucciso il suo rivale Oreste, depose l'ultimo imperatore, il giovane Romolo Augustolo, e rimandò a Bisanzio le insegne imperiali, accontentandosi per sé del titolo di re. L'Imperatore di Oriente rivendicò da quel momento l'eredità di Roma, almeno fino all'anno 800 dopo Cristo, quando Carlo Magno fu incoronato Imperatore e l'antico Impero romano risorse in Occidente come Sacro Romano Impero.
Ma la crisi istituzionale dell'Impero romano, che precipita nel 476 con la scomparsa visibile dell'Impero, è di molto precedente, risale ad almeno un secolo prima. Se volessimo indicare una data dovremmo scegliere l'anno 378, quando le legioni di Roma vengono disfatte dai visigoti nella piana di Adrianopoli e lo stesso Valente II, l'Imperatore di Oriente, cade sul campo di battaglia. Fu, per l'esercito romano, la più grave disfatta dopo la battaglia di Canne. Quest'evento, la battaglia di Adrianopoli del 378, segna la prima grande vittoria militare dei barbari su Roma e apre la strada alle grandi invasioni che caratterizzarono il V secolo, il secolo del definitivo tramonto dell'Impero romano.
Causa esterna del tramonto e poi del crollo dell'Impero romano sono le invasioni barbariche. Ma le cause vere e più profonde della decadenza e della fine dell'Impero di Roma sono interne, di carattere culturale e morale. Mentre i popoli barbari premevano ai confini di un immenso Impero che dall'Oceano Atlantico e dal Mare del Nord arrivava all'Africa Settentrionale, al mar Caspio, alle frontiere con i Persiani e con gli Arabi, la società romana era immersa nel relativismo intellettuale e nell'edonismo pratico. Perciò Benedetto XVI, in relazione all'Impero romano, ha affermato che il "disfacimento degli ordinamenti portanti del diritto e degli atteggiamenti morali di fondo che ad essi davano forza, causavano la rottura degli argini che fino a quel momento avevano protetto la convivenza pacifica tra gli uomini. Un mondo stava tramontando". Fu la corruzione morale a spalancare le porte ai Vandali, che nel 406 attraversarono il Reno ghiacciato, irrompendo nella Gallia, e ai Visigoti invasero Roma.
Oggi, piuttosto che di invasioni, si preferisce parlare di migrazioni per sottolineare il fatto che quelli che fecero irruzione nell'Impero romano erano popoli interi, provenienti dalle regioni più settentrionali d'Europa e dalle steppe dell'Asia. Quel che è vero è che nella storia delle invasioni barbariche possiamo distinguere fasi diverse. Una prima fase di infiltrazione pacifica e graduale, alla spicciolata, nei territori dell'Impero, tra il II e il III secolo, di uomini e gruppi attratti dall'alto tenore di vita di Roma e dalla sua cultura; una seconda fase, anch'essa pacifica, di stanziamento di interi gruppi barbarici, cioè di immigrazione e di stabile insediamento entro il limes romano, non di individui o gruppi frammentati, ma di popoli interi, destinati a divenire uno Stato nello Stato; una terza fase di grandi migrazioni di popoli all'interno dell'Impero, in forma sia pacifica che guerresca; infine, a partire dal V secolo, l'ultima fase, quella della violenta irruzione di popolazioni del tutto ostili, dai Vandali agli Unni, fino ai Longobardi nel VI secolo. Le migrazioni divennero prima invasioni, poi occupazioni e conquista dell'Impero romano che, sotto gli urti dei barbari, si sgretolò e scomparve.
Tutto iniziò, si può dire, in una notte di inverno dell'anno 406. Il 31 dicembre di quell'anno, le scarse guarnigioni romane di stanza sul Reno, nei pressi di Magonza, avvistarono una massa brulicante di barbari, che si perdeva a vista d'occhio al di là del fiume. Il Reno era una spessa lastra di ghiaccio che permise a quella massa di attraversarlo, irrompendo all'interno dei confini dell'Impero. I pochi che tentarono di opporsi furono massacrati. Erano Vandali, Alani, Svevi, tribù intere, con donne e bambini, carri, bestie e greggi, quelli che travolsero ogni resistenza e dilagarono in Gallia. Nulla poté più fermarli.
I due popoli barbarici più temibili erano i Vandali e i Goti: questi ultimi divisi a loro volta in due gruppi: gli Ostrogoti e i Visigoti. Altri popoli, tra cui i terribili Unni, premevano alle loro spalle. Quando i Visigoti invasero l'Italia, sant'Agostino, scrivendo nel 408 dall'Africa ad una delle sue amiche italiane, le scrisse: "La vostra ultima lettera non mi informa di nulla di quanto avviene a Roma. Vorrei tuttavia sapere bene quanto c'è di vero di una voce vaga arrivata fin qui, quella di una minaccia sulla città. Non vorrei prestarvi fede". Il timore del santo vescovo di Ippona diverrà due anni dopo realtà.
Nell'agosto del 410 i Visigoti guidati dal loro capo Alarico si presentano alle porte di Roma, la assediano e durante un terribile temporale entrano per la porta Salaria che fu aperta loro dal di dentro. La città più celebre del mondo che da ottocento anni non era stata invasa dal nemico fu esposta senza misericordia alla furia dei barbari che accesero i loro fuochi sulle pendici del Campidoglio. Alarico diede ordine di rispettare le Basiliche degli Apostoli ma diede, per il resto, licenza di saccheggio. Fu, per quattro giorni, un susseguirsi di rapine, incendi, stragi, in un'atmosfera di terrore. [...]
Queste parole ci fanno riflettere su quanto sia precario ed effimero ogni potere, ogni ricchezza, ogni onore umano. Fu proprio meditando sul sacco di Roma del 410 che S. Agostino compose la sua celebre Città di Dio, una delle più grandi filosofie cristiane della storia dell'umanità, concepita come la storia della lotta tra due amori: l'amore di sé fino all'odio e all'indifferenza per Dio e l'amore di Dio fino all'odio e all'indifferenza per sé. Questa visione della storia non ha perso la sua attualità.
L'Impero romano crollò perché in esso la legge morale e divina era trasgredita. Questo è ciò che ci attesta la storia e che, attraverso la storia, giunge a noi come un monito. Anche oggi popoli stranieri invadono l'Occidente. Si tratta di una migrazione pacifica e silenziosa che potrebbe trasformarsi però in un'invasione cruenta. I barbari erano estranei alla civiltà romana ma ne assimilarono la cultura e le tradizioni. I nuovi barbari proclamano di non volersi integrare nella nostra civiltà, di cui assimilano solo gli elementi di decadenza, rifiutandone cultura e tradizioni.
Anche oggi il cuore dell'uomo e, di conseguenza, la vita della società, oscilla tra due opposti richiami: l'amore di Dio, che si esprime nel rispetto dell'ordine che egli ha voluto dare all'universo, fino al punto di rinunziare a ogni nostro istinto e desiderio, pur di rispettare quest'ordine. Oppure l'amore di noi stessi, il libero gioco lasciato alle nostre passioni e alla nostra volontà di potenza, fino al punto di trasgredire, nella nostra vita e nella società intera, la legge di Dio. Questa la drammatica alternativa che sempre si pone nella storia e di fronte a cui non solo i singoli uomini, ma le civiltà, sono chiamate a una scelta.
Nelle tenebre del V secolo, brillarono solo le luci dei santi. Furono essi a comprendere che cosa accadeva e a infondere fiducia soprannaturale, quando tutto sembrava perduto. "Cristo ti parla, ascolta! – esclamava Sant'Agostino –. Egli ti dice: perché temi? Non ti avevo forse predetto tutto ciò? Te l'avevo predetto perché la tua speranza si volgesse, una volta sopraggiunta la sentenza, verso il vero bene, invece di oscurarsi nel mondo". Tutto ciò che accadde nella storia, come nella vita di ognuno di noi, ha un senso e un significato, conosciuto solo da Dio. [...]
È nelle virtù cristiane che ancora oggi occorre attingere la forza al male fisico che ci minaccia dall'esterno e a quello morale che ci colpisce dall'interno.
Colpisce il fatto che oggi le accuse alla nostra classe politica per il clima di Basso Impero e di decadenza morale in cui vive, siano fatte proprio da chi ha fatto del relativismo morale il suo programma.
In Italia e in Europa esiste una questione morale, ma chi ha titolo a intervenire nel merito è solo chi si richiama a valori morali perenni e non negoziabili. Come può chi nega di principio questi valori, rimproverare gli altri se li trasgrediscono? Sono queste le contraddizioni dell'epoca attuale, ma la contraddizione è la nota distintiva del relativismo. [...]
Abbiamo parlato dei barbari che invadono i territori dell'Impero, ne conquistano e devastano le città, raggiungono da Nord e da Oriente i suoi estremi confini: l'Atlantico e il Mediterraneo, saccheggiano Roma, caput mundi, la città sacra e inviolata che aveva dettato le leggi a tutto il mondo civile.
Ma questo nemico che Roma deve affrontare e da cui Roma sarà travolta è un nemico esterno. La causa più profonda del crollo dell'Impero romano non è in realtà di carattere esterno, ma interno. Non è di carattere politico e militare, ma di natura, culturale e morale. l'Impero romano crolla perché l'edificio è ormai tarlato e la sua forza non è più che apparenza. Cerchiamo di sviluppare anche questo punto, perché il Papa Benedetto XVI ha paragonato il tramonto dell'Impero romano a quello della civiltà occidentale contemporanea e questo paragone può aiutarci a meglio comprendere la crisi del nostro tempo.
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