Leo Messi ringrazia Dio e ammette che è tutto merito Suo, anche i mondiali
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show moreLEO MESSI RINGRAZIA DIO E AMMETTE CHE E' TUTTO MERITO SUO, ANCHE I MONDIALI
Combattuta fino all'ultimo e decisa ai calci di rigore, la finale dei Mondiali di Calcio che ieri ha assegnato - per la terza volta nella sua storia - il titolo di campione del mondo alla nazionale argentina, può essere stata sostenuta anche dal Cielo. A supporlo anzi apertamente, senza troppi giri di parole, è stato proprio lui, il capitano dell'Argentina, Leo Messi, che non ci ha pensato due volte - ai microfoni dell'emittente TyC Sports - ad indicare in Dio l'artefice ultimo del trionfo della sua squadra e suo: «Sapevo che Dio me lo avrebbe dato, avevo il presentimento che sarebbe stato così».
In effetti, il sette volte pallone d'oro - il cui accostamento con la leggenda Diego Armando Maradona, dopo la vittoria in Qatar, è definitivo - già prima della finale aveva attribuito al Signore il potere decisionale su eventi anche sportivi. In un'intervista rilasciata a Diario Olé lo scorso 11 novembre, il fuoriclasse aveva esplicitamente dichiarato: «Penso sempre che sia Dio a decidere, Dio sa quando è il momento, qual è il momento e cosa deve succedere. E sono sempre grato per tutto quello che mi è successo sia nel calcio sia nella mia vita». Ma anche quella dichiarazione, pur forte, non era la prima in assoluto.
Come segnala l'agenzia Aciprensa, quattro anni fa, allorquando il giornalista Sebastián Vignolo gli chiese del suo talento calcistico, il capitano dell'Argentina (che oggi la Gazzetta dello Sport celebra come "Il piede di Dio") aveva nuovamente richiamato l'Onnipotente come il vero artefice della sua carriera, ricordando: «Ero ancora così piccolo, non ho fatto niente... È stato Dio a farmi giocare così, mi ha fatto quel regalo [...] Lui ha scelto me, e allora ho fatto tutto il possibile per cercare di migliorarmi e riuscire ad avere successo, ma senza il Suo aiuto non sarei arrivato da nessuna parte». Che dire, se non che si tratta di parole estremamente chiare e condivisibili.
Certo, questo non vuol dire che Messi sia considerarsi per forza di cose un fedele esemplare; per dire, quando, nel 2017, sì unì in matrimonio con la moglie decisero entrambi di non sposarsi in chiesa (benché non ci fosse alcuna contrarietà, diversamente da come ipotizzato da alcuni, da parte dell'arcidiocesi), anche se - va detto anche questo - la coppia ha comunque poi scelto la propria città natale, Rosario, per festeggiare il battesimo dei loro tre figli: Thiago e Mateo nel 2017, e Ciro nel 2019. Ciò nonostante, le parole della stella argentina su Dio come Colui che davvero stabilisce tutto, ecco, sono vere e controcorrente.
Si potrebbe aggiungere - restando in tema - che la vittoria dell'Argentina non sarà dispiaciuta neppure al Papa che da quel Paese viene anche se c'è da dire che Papa Francesco, riferiscono più fonti, non ha seguito la finale, ripetendo un gesto che aveva già fatto nel 2014 quando la finale di quei Mondiali fu disputata tra Argentina e Germania. Tornando però alle parole di Messi, la speranza è che possano far riflettere, dato che, a ben vedere, riflettono quanto già scritto da Duemila anni nel Vangelo: «Senza di me non potete fare nulla» (Giovanni, 15,5)
Nota di BastaBugie: Eugenio Capozzi nell'articolo seguente dal titolo "Mondiali e Qatargate: Ue strumento di poteri esterni" spiega perché il campionato del mondo di calcio del Qatar si è svolto in un clima surreale che illustra l'assoluta permeabilità delle istituzioni del Vecchio Continente a ogni pressione da parte di regimi autoritari mediorientali o nordafricani. La realtà è che dietro le proclamazioni altisonanti sui diritti e l'inclusione sbandierate ai quattro venti c'è invece l'azione a favore di ben precisi interessi politici tra l'islam fondamentalista e le sinistre progressiste occidentali.
Ecco l'articolo completo pubblicato su La Nuova Bussola Quotidiana il 19 dicembre 2022:
I campionati mondiali di calcio del Qatar hanno raggiunto la loro conclusione "sportiva" in un clima surreale, se non proprio da teatro dell'assurdo, portando fino alle estreme conseguenze le contraddizioni che ne inficiavano la credibilità fin dal loro concepimento. Proprio mentre, infatti, il torneo si svolgeva sul campo è esploso lo scandalo clamoroso della corruzione operata dal governo del Qatar nei confronti di molti membri del Parlamento europeo: uno scandalo che sempre più va estendendosi e minaccia di coinvolgere tutte le istituzioni dell'Ue, dimostrando eloquentemente come l'assegnazione e l'organizzazione dei mondiali siano parte di un unico grande disegno di "lobbying" del paese del Golfo e anche di altri Paesi arabi, come il Marocco, nei confronti dell'Europa.
Questo esito non sorprende certo chi conosce il ruolo svolto dal Qatar e dal fondamentalismo islamico nella politica internazionale, o le sue influenze di lunga data sulle classi politiche occidentali. Né sorprende, più in generale, alla luce della storia delle grandi kermesse sportive internazionali, che da sempre sono strumenti nemmeno troppo velati di propaganda da parte di regimi di vario genere: dalla Coppa del mondo italiana del 1934 alle olimpiadi di Berlino del 1936, fino al "mundial" argentino della dittatura di Videla del 1978, alle olimpiadi di Pechino del 2008 e ai mondiali giocati in Russia nel 2018. D'altra parte, nel caso attuale del Qatar fin dall'assegnazione del torneo (avvenuta addirittura con un quadriennio di anticipo, nel 2009) la "narrazione" buonista sullo sport che affratella e costruisce ponti, cucita a forza intorno ad esso, era stata messa radicalmente in questione dai più che legittimi dubbi sul potere di condizionamento dei petrodollari qatarioti sulla FIFA, sfociati anche in inchieste giudiziarie, mai concluse da condanne. E più recentemente, all'inizio del torneo stesso, quei dubbi erano tornati a circolare, con l'aggiunta di pesanti accuse di sfruttamento schiavistico della manodopera di immigrati asiatici usata nel paese per la costruzioni degli impianti sportivi.
I campionati si erano aperti, insomma, in un clima di generale imbarazzo e sospetto. Un clima accentuato dal discorso inaugurale del presidente della FIFA Gianni Infantino, che goffamente aveva provato a conciliare la retorica politicalcorrettista imposta in ogni sede dello sport internazionale con la difesa del governo del paese ospitante dipinto come un luogo di grande progresso dei "diritti". Erano continuati poi con l'altrettanto paradossale corto circuito tra i frusti e retorici gesti simbolici in favore delle cause più amate oggi dall'ideologia dominante occidentale - i braccialetti arcobaleno per l'agenda Lgbtq e gli "inginocchiamenti antirazzisti" pro Black Lives Matter - e la cruda realtà di un mondo non-occidentale (tipicamente rappresentato dal regime qatariota, che passa come uno schiacciasassi sui diritti di gay e donne); nonché l'atteggiamento di gran parte dei Paesi africani che considerano ridicolo e fuorviante l'antirazzismo ideologizzato occidentale (resterà impressa la comica scena della partita Inghilterra-Senegal: inginocchiati i primi, in piedi fieramente i secondi).
Le clamorose indagini sulle vagonate di soldi cash e altri benefit regalati dall'emirato ai parlamentari europei soltanto per avere da loro opinioni favorevoli al regime rappresentano, dunque, il logico coronamento di una situazione paradossale. Di più, esse completano il mosaico della grande compravendita di cui l'assegnazione dei mondiali è stata parte, e degli obiettivi che i qatarioti si prefiggevano: ingresso delle loro aerolinee nel mercato del Vecchio Continente, libera circolazione dei suoi cittadini senza visti, vendita di gas a prezzi convenienti, acquisti di armi, e via dicendo.
Soprattutto, il quadro che si va via via definendo getta una luce inquietante sull'effettiva realtà, oggi, dell'Unione europea e delle democrazie europee. Esso illustra bene, infatti, innanzitutto l'assoluta permeabilità delle istituzioni del Vecchio Continente a ogni pressione da parte di regimi autoritari mediorientali o nordafricani. Dimostra inoltre come, almeno in un caso specifico e ben documentabile, dietro le proclamazioni altisonanti sui "diritti" e l'"inclusione" sbandierate ai quattro venti continuamente da vertici e classi politiche Ue ci sia invece, molto prosaicamente, l'azione a favore di ben precisi interessi politici di Stati, derivante da do ut des opachi, fuori da ogni regola e principio. Indica, poi, con chiarezza come negli ultimi decenni si sia andata stringendo un'alleanza di fatto, fondata su comuni interessi, tra l'islam fondamentalista e i settori prevalenti delle sinistre progressiste euro-occidentali, cementato dalle succitate retoriche sull'inclusione.
Ma, ancor più, lo scandalo delle "dazioni" di Doha alimenta la precisa impressione che il caso del "lobbying" qatariota e marocchino sia soltanto la punta di un enorme iceberg, e che se quest'ultimo emergesse in piena luce avrebbe effetti destabilizzanti senza precedenti sull'Occidente come lo conosciamo.
Esso, infatti, apre la strada a ulteriori interrogativi, ai quali la politica e la giustizia dovrebbero dare urgentemente risposta.
È possibile che la linea politica dei Paesi Ue e le prese di posizione delle istituzioni co
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