Libri sul running: Due ore, di Ed Caesar
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show moreNon conoscevo Ed Caesar, l’autore di questo libro. E non credo neanche che avrei comprato questo libro di mia sponte, che mi è stato regalato per Natale da un amico. Però alla fine la lettura è stata piuttosto interessante.
Due note al volo su Ed Caesar, che credo sia sconosciuto ai più: è un giornalista, anche piuttosto giovane, che scrive su New Yorker, Wired, The Independent e molti altri. Non si occupa principalmente di sport, del quale comunque evidentemente scrive: oltre alla maratona è appassionato di tennis. Ma i suoi articoli sono soprattutto sulla storia, sulla guerra, oltre che di cronaca contemporanea. Ha vinto anche numerosi premi in passato.
Nelle pagine di questo libro si interroga sull’assalto dei maratoneti più forti al muro delle 2 ore. Fa strano, leggendolo, di come l’atletica sia “invecchiata” nel giro di così poco tempo.
Questo è un libro del 2016, eppure sembra passata una vita. I nomi dei top runner del 2016 sono ben diversi da quelli attuali, così come i tempi ed i record. E, ovviamente, l’autore non poteva certo sapere che da lì a poco, ci sarebbero stati due eventi creati ad hoc per abbattere questo famoso muro: il Breaking2 di Monza, marchiato Nike, e l’ormai arcifamoso Ineos 1:59 del 2019, dove Kipchoge è riuscito finalmente nell’impresa.
Anzi, proprio nelle ultime pagine del libro (non vi spoilero nulla, tanto non c’è da scoprire nessun assassino), l’autore immagina l’idea della creazione di un evento costruito per riuscire a stare sotto le due ore: un circuito totalmente pianeggiante con poco vento, i migliori runner con delle lepri, una situazione climatica nel quale correre. Si può dire che abbia pensato in anticipo a buona parte di quello che poi è stato davvero fatto!
Il libro non dà tabelle di allenamento o consigli tecnici, ma, diviso in capitoli piuttosto precisi, racconta piuttosto di alcune storie legate a questo ambiente e fa alcuni approfondimenti e riflessioni sulla corsa, in particolare quella kenyana.
Si parla in grandissima parte di Geoffrey Mutai, che possiamo individuare come il protagonista del libro.
Ed Caesar probabilmente lo aveva “battezzato” come colui in grado per primo di riuscire a stare sotto le due ore in maratona. E, aggiungendoci alcune storie, davvero interessanti su di lui e sulla sua vita, ha pensato di utilizzarlo come una sorta di fil rouge dell’opera. La storia ci dice che la sua previsione non è stata azzeccata!
Ci sono racconti delle sue gare, fatte di successi, record, ma anche di infortuni ed insuccessi. E c’è la sua vita, anche da uomo, oltre che da sportivo. L’autore ci parla dello “Spirito” che lo pervade durante le maratone, specialmente quelle meglio riuscite.
Viene narrata parte della sua crescita, che immagino sia la stessa di tanti big della corsa: un'infanzia difficile, un'adolescenza vissuta con il pericolo dell’alcool, fino al compiere la scelta di allenarsi duramente in un ritiro sugli altopiani, in situazioni ambientali estreme, nella speranza di uscire dal Kenya. Cose che spesso Mutai e gli altri top runner hanno continuato a fare, nonostante le vittorie ed i soldi guadagnati.
C'è un capitolo dedicato a Samuel Wanjiru, che forse in pochi conosceranno. Una promessa della maratona, che non ha saputo gestire la sua vita. Morto in una situazione tutt’ora non chiara, a soli 25 anni. E’, a quanto pare, un pericolo comune a tanti runner africani di successo: ricevere soldi dalle gare vinte e spenderli in mogli/fidanzate (più d’una!), alcool e fare piaceri ad amici, conoscenti ed anche sconosciuti, tutti affamati di denaro. Il tutto in una nazione estremamente povera, dove la differenza tra ricchi e poveri è davvero accentuata.
Ma non ci sono solo loro due: si parla di tanti maratoneti famosi e di alcune loro storie e gare. Ad esempio, Bill Rodgers, Geoffrey Kamworor, Emmanuel Mutai (che non è parente di Geoffrey), Haile Gebrselassie, che l’autore chiama per tutto il tempo solo “Haile”, forse per risparmiare inchiostro e per evitare a chi ne parlerà, come me, di impappinarsi troppo nel pronunciarne il cognome.
C’è anche spazio per raccontare il Kenya: patria di tanti di questi corridori, dilaniata da guerre, povertà, abuso di alcool e doping. Si parla anche di eventuali motivi più scientifici circa la superiorità degli atleti dell’Africa orientale, ma francamente questo ed il capitolo incentrato sul doping non mi sono rimasti nel cuore. Forse perché mi appassionano di più le storie, piuttosto che alcune considerazioni scientifiche e pseudo-scientifiche sull’anatomia dei kenyoti, piuttosto che illazioni, gossip ed altri eventi legati al doping. Non è nel mio stile, diciamo.
Invece, mi è piaciuta la parte dedicata alla storia della maratona e di come sia diventata diffusa solo nell’ultimo secolo. Una evoluzione sia tecnica, per i top runners, che di business e di marketing. Si comprende meglio come sia economicamente allettante per un atleta correre determinate gare, in particolare quelle delle Six Majors. Ma si parla anche di come la maratona si sia diffusa come evento di massa, anche negli atleti amatoriali. In particolare, ci sono aneddoti ed accenni a New York, Londra e Boston su tutte.
Inoltre, c’è anche spazio per il nostro eroico Dorando Pietri, addirittura raccontato in un’occasione da Sir Arthur Conan Doyle.
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Author | Lorenzo Maggiani |
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