Omelia XXVI Dom. T.O. - Anno A (MT 21, 28-32)
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7545 OMELIA XXVI DOMENICA T. ORD. - ANNO A (Mt 21,28-32) di Giacomo Biffi Ogni impegno cristiano, ogni donazione a favore dei fratelli, ogni vigore di carità,...
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Ogni impegno cristiano, ogni donazione a favore dei fratelli, ogni vigore di carità, si alimenta alla frequentazione continuata della scuola di Cristo. Abbiamo sempre bisogno di queste "lezioni" dell'unico vero Maestro, se non vogliamo ridurre il nostro servizio ecclesiale a un attivismo senz'anima e senza motivazioni. La lezione che ci viene impartita oggi, dalla pagina di Vangelo che abbiamo ascoltato, potrebbe avere per titolo: "I fatti e le parole". Fatti e parole visti nella loro differenza, nella loro eventuale contrapposizione, nel loro pregio diverso. E si compone di una breve parabola e di una provocante, quasi scandalosa, affermazione del Signore.
LA NOSTRA PROFESSIONE DI FEDE SI SOSTANZIA DI OPERE
La parabola tende a mettere in luce che di fronte a Dio, più che le dichiarazioni, le etichette, le sigle di appartenenza, le ostentate declamazioni di fedeltà, conta l'effettiva accettazione della volontà del Padre. Sia fatta la tua volontà, è la più necessaria, la più sublime, la più ardua delle preghiere. Il valore reale che ciascuno di noi possiede in faccia a Dio, più che dalle espressioni della bocca, è determinato dalla risposta della vita. In un altro punto del Vangelo, Gesù manifesta lo stesso pensiero quando dice: Non chi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio. Senza dubbio, fa parte della volontà del Padre che noi lo lodiamo con le nostre labbra, lo imploriamo col nostro cuore, lo riconosciamo con la nostra voce davanti al mondo. Perciò ogni contrapposizione tra la liturgia, l'orazione, la testimonianza, e l'attività di bene, la realizzazione di opere a vantaggio degli altri, la solidarietà concreta coi bisognosi, è fittizia, non evangelica, improponibile. Il Padre vuole tutto: vuole la nostra mente, il nostro cuore, le nostre labbra, le nostre parole, le nostre mani, i nostri fatti. Tutto, senza indebite esclusioni, deve essere posto al servizio del Regno. C'è un'altra annotazione, simile a questa, che va segnata a scanso di equivoci. Nella parabola non è la ribellione esteriore che viene lodata, ma la sottomissione effettiva. Il primo figlio non viene disapprovato perché ha detto di sì, ma perché ha fatto di no; e il secondo non viene esaltato perché ha detto di no, ma perché ha fatto di sì. L'ideale resta colui che dice di sì e fa di sì; che non ha paura di professare apertamente la sua fede nel Signore Gesù e la sua volontà di essere pienamente partecipe della vita della Chiesa con umiltà e con gioia, e insieme si sforza ogni giorno di tradurre nella sua esistenza le esigenze di comportamento coerente che sono incluse nelle sue convinzioni. Questa parabola non è dunque un'apologia dei ribelli, sia pure verbali, e un plauso rivolto ai virtuosi del "no", ma è un invito a una professione cristiana sostanziata di opere. Il modello supremo resta sempre il Figlio di Dio, Gesù Cristo, che, come dice san Paolo, non fu "sì" e "no", ma in lui c'è stato il "sì" (2 Cor 1,19). Egli è stato in ogni sua parola, in ogni suo sentimento, in ogni sua azione, in ogni ora della sua vita, fino all'ora suprema del sacrificio della croce, il "sì" totale rivolto al Padre, dal quale tutti noi siamo stati salvati: Per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti (Rm 5,19).
CHI SI RITIENE ARRIVATO NON E' MAI DISPOSTO A CAMBIARE
La frase, con cui la parabola si conclude, doveva apparire agli ascoltatori abbastanza sconcertante. Gesù dice ai "giusti" del suo popolo, a coloro che si ritenevano perfettamente a posto perché osservavano tutte le prescrizioni della legge e tutti i riti della tradizione ebraica: I ladri e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio. Questa espressione, se è innaturalmente staccata dal contesto, può dar origine a qualche spiacevole malinteso. Se invece è capita nell'ambito di tutto il discorso, rivela con molta chiarezza il pensiero del Signore. Non si tratta dei ladri e delle prostitute nel tranquillo e soddisfatto esercizio della loro professione, ma nel momento in cui "credono", cioè aderiscono, alla pro- posta di pentirsi e di cambiare vita; nel momento della loro accettazione della "via della giustizia" annunciata da Giovanni. Giovanni il Battezzatore aveva detto: Convertitevi perché è vicino il Regno dei cieli. Vale a dire: trovate nel futuro, che è ormai imminente, la forza di mettere in crisi il vostro passato, di rompere coi vostri errori, di mutare la vostra condotta. Meglio dunque una prostituta che, per l'attesa del Regno di Dio che viene, trova il coraggio di trasformare la sua squallida vita, che una signora per bene, la quale, per andare incontro con interiore sicurezza al giudizio di Dio, continua a richiamare alla mente tutta la sua vita virtuosa e onorata. Il cristiano si salva non perché si appoggia alla sua giustizia passata ("non ho mai fatto male a nessuno"; "ho sempre fatto del bene a tutti", ecc.), ma perché confida nella giustizia veniente di Dio. Non nel nostro passato, ma nel futuro del Dio che verrà a sigillare e a dare un senso alla storia, e già fin d'ora domanda il cambiamento del nostro presente, sta la ragione della nostra salvezza e il fondamento della nostra speranza.
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