Roberto Alajmo "Carne mia"
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Roberto Alajmo "Carne mia" Sellerio Editore www.sellerio.it Tra Palermo e la Spagna una famiglia va incontro al suo destino. Due fratelli, un padre scomparso, una discesa nell’oscurità su cui splende...
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Sellerio Editore
www.sellerio.it
Tra Palermo e la Spagna una famiglia va incontro al suo destino. Due fratelli, un padre scomparso, una discesa nell’oscurità su cui splende implacabile la luce del sole.
«Roberto Alajmo ha gusto, curiosità e talento di cacciatore di storie. Preferisce la misura alle provocazioni che non provocano nessuno, e il lettore stabilisce con lui una comunicazione immediata e amichevole» (Ernesto Ferrero, TTL - La Stampa).
La storia di Carne mia finisce con due ragazzini che camminano ai margini di una strada, nel sud della Spagna. Qualche macchina passa accanto, rallenta, non si ferma; il ragazzo più piccolo, ancora un bambino, non smette di parlare, in un brusio continuo che si mescola al canto delle cicale. L’altro, invece, rimane zitto. Dai suoi pantaloni sbuca il manico di un punteruolo.
Ma questa è la fine, prima c’è una vicenda ambientata negli anni Novanta al Borgo Vecchio, il quartiere popolare di Palermo incastonato ai margini della zona più prestigiosa della città. Quasi un paesello a sé stante in ogni dettaglio, soprattutto per quanto riguarda la sfera morale. Quando c’è un problema si va in carnezzeria, dal signor Pino, si compra il capretto e si invocano pareri che hanno il valore di una sentenza, che si tratti di una bega condominiale o della sorte di un uomo scomparso nel nulla. Qui la famiglia Montana campa grazie a una bancarella abusiva di frutta e verdura fondata dal padre, di quelle sempre aperte, un ombrellone a proteggere le cassette, i clienti durante la giornata e la sera una briscola e una chiacchierata con gli amici. Poi una notte il padre, Calogero Montana, smette di tornare a casa, e la piccola attività dovrà essere portata avanti da moglie e figli. Due figli, Enzo il grande e Franco il piccolo, ma «il piccolo pare più grande del grande, e il grande più piccolo del piccolo». Entrambi lasciano la scuola per aiutare la madre e Franco, gran lavoratore, si getta nel mestiere; il secondo, all’opposto, voglia ne ha poca, e diventa ancora più inaffidabile quando s’innamora di una ragazza che è peggio di lui. I due fidanzati diventano sempre più strani, magri, consunti, ed estorcono quattrini alla madre in continuazione. A Franco tutto questo non piace. E poi, a complicare le cose, arriva pure un figlio. Anzi, due.
È una storia semplice, questa, con un finale inaspettato. Una trama dura e affilata, che mette al centro la famiglia, come in È stato il figlio.
Roberto Alajmo racconta questa storia con una lingua e uno sguardo che rimangono incollati ai fatti e ai personaggi, seguendoli fin quasi a tamponarli, inventando un presente e una presenza concreti al punto che questa famiglia quasi la vediamo davanti a noi, con le sue scelte, le sorprese e l’accanimento del destino, lo sbigottimento dei momenti felici. Mentre assistiamo all’eclissi di ogni sentimento, e all’avvicinarsi di una catastrofe che sembra inevitabile.
Roberto Alajmo, giornalista e scrittore, dal 2013 dirige il Teatro Biondo di Palermo. Tra i suoi libri: Notizia del disastro (2001), Cuore di madre (2003), Nuovo repertorio dei pazzi della città di Palermo (2004), È stato il figlio (2005), da cui è stato tratto nel 2012 l’omonimo film diretto da Daniele Ciprì, Palermo è una cipolla (2005), L’arte di annacarsi (2010).
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