Alla fine è tutta questione di identità. (Ma pure all’inizio.) Segni di riconoscimento. O di depistaggio. O di sottrazione. Qualcuno di recente mi dice tra velleità e cazzeggio: come mai, per conoscere una persona nuova, le chiediamo “che musica ascolti” e non “che cinema guardi”? “Ti piace il cinema?” come se potesse non piacere. Mai “ti piace la musica?”, come se la musica non potesse non piacere, invece. Come fosse una patente di normalità. Un segno di riconoscimento. Un vestito da indossare. Ma vogliamo ancora indossare qualcosa, ora che abbiamo tutto addosso? È auspicabile? Musica, cinema, identità. Quali e quante cose indossa il musical intersex fantascientifico anticolonialista di Neptune Frost, che un’identità fissa non la vuole, vuole aprire una crisi (o soltanto si accorge, e ci urla, che è già aperta e non da oggi)? Di sicuro non le stesse di Country Gold, rovesciamento weird, sottilmente allucinatorio, del potentissimo riconoscibilissimo immaginario all-American della country music. Nemmeno le stesse di Sonne che a una generazione senza Stato e religioni, dall’identità astratta (con quanto di positivo e negativo in ciò sia implicato), rifratta nei display, saldamente coniugata al presente, è dedicato. Superidentitaria la musica in The Ordinaries fino all’oppressione, e all’opposta rivendicazione della dissonanza, del buco di sceneggiatura, dell’errore di montaggio. Ma alla fine (e pure all’inizio) forse ha ragione il Frank da fine impero di Zillion che come un di là da venire qualsiasi Zuckerberg vuole solo essere qualcuno che non è (ricco innanzitutto, e più alto), rinascere in un’identità capitalista e virtuale, sfoggiare segni riconoscibili per sostituirsi al proprio alter ego e andare allegramente in rovina, che tanto è dove andiamo tutti. Chissà. Muoversi tra questi cinque film quest’anno è stare in cinque diversi sguardi che attraverso la musica (come segno di riconoscimento) e il cinema (come ecosistema) osservano le identità che indossiamo, che ci vengono addossate, dalle quali vogliamo sottrarci, nelle quali ripensarsi almeno un po’. Matteo Pennacchia / Curatore
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