Il cimitero è il posto in cui i vivi possono fisicamente commemorare i propri cari. Li tengono in vita in un modo che va oltre un semplice ricordo; i protagonisti di questa storia hanno costruito vere e proprie case di villeggiatura nel cimitero in cui riposano i loro congiunti e ogni estate, come in un normale campeggio, passano del tempo lì trasferendovi la loro quotidianità di panni da stendere e compiti da fare. La m0rte non è un argomento che si affronta con razionalità e un sacco di autori ne hanno scritto in modo totalizzante, evidenziando soprattutto i vuoti che le persone che non ci sono più lasciano nelle nostre esistenze. Quello che invece racconta SantaMatita è la vita che continua nonostante la m0rte e con la m0rte, e lo fa attraverso i panni stesi di cui prima, amori adolescenziali, c4ttiverie, pettegolezzi, piante di pomodoro e leggende metropolitane. Non so bene come esprimere questo concetto, ma l’umanità in questa storia che si legge in un paio d’ore è disarmantemente semplice: le persone entrano ed escono dai nostri percorsi e nel frattempo noi curiamo le piante, giochiamo, nuotiamo, scopriamo, curiosiamo, conosciamo altre persone, ci nascondiamo, stendiamo i panni, ceniamo, offriamo aiuto, piangiamo, facciamo amicizia, facciamo del bene a persone che non rivedremo forse mai più, riceviamo aiuto, beviamo caffè, ripariamo e sempre nel frattempo continuiamo a costruire, costruire, costruire intorno alla m0rte e paradossalmente circondati dalla m0rte. Questo è quello che succede in questa graphic novel tra la libertà del campeggio estivo e la pressione costante di questa cosa della vita che accade e che ci cambia lo scorrere del tempo.
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