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Un Taccuino a settimana, per la mente sana.
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24 OCT 2025 · Dilatando un aforismo metabolico...
Vediamo maschere tra spettri.
Nomos è certezza, che separa, divide, decide? Il "suo" "carattere" è dogmatico. Ma qui, ribaltiamo: ecco la "sua" "personalità", la maschera che indossa per amplificare la propria natura – e non per nasconderla – (si pensi al teatro e all'esigenza di amplificare pel gaudio di coloro che spettano da lontano).
L'uomo sceglie, non può decidere.
Ma quindi, "dogma" innova in decisione, dogmatizzo in decido: è certezza, che è nomos innovato.
Ma non si decide la natura del nomos, della certezza, del dogma, perché si da, perché si danno. Si decide perché si può. E quindi, in esempi: non dogmatizzo filioque e l'anti specchio recapitulatio, giacché il logos si è fatto carne, e quindi così è... perché decido verità, perché così è nella struttura dell'essere è del logos che è. Verità non si decide. Non nella struttura della natura, che è inconoscibile. Berberità. Non si può decidere l'inconoscibile perchè si norma, per il dato che non è dato. Si può decidere per il solo assunto che si rende per possibilità necessario giustificare la sintesi costruita per postulato implicito di validità nella tesi. Ma è chiaro che validità appartiene alla logica, per coerenza di una realtà che formula la stessa tesi, ma che non ha chiarezza del partecipare al reale, del reale.
Ma torniamo a carattere e personalità.
La maschera è essa stessa la sua natura. Non copre, amplifica. Esattamente come nel teatro greco: prósōpon (maschera). Serviva non a occultare l’attore, ma a portare la voce più lontano, a renderla udibile da tutta la cavea.
1. Nomos come certezza scenica
Nomos è la certezza che decide, divide, taglia. Ma è una certezza teatrale, costruita per amplificare la propria decisione, non per celarla. La certezza del nomos è dogmatica non perché impone verità, ma perché impone forma. Dogma, da dokein, “sembrare, apparire, sembrare giusto”: è ciò che “pare” evidente perché si mostra come tale, non perché lo sia. La decisione è atto performativo, non epifania. Si decide non perché la natura del nomos sia conoscibile, ma perché la decisione è possibile in quanto atto di potere e di linguaggio. Strumento, quanto un ferro vecchio.
2. Dogma: decisione performativa, non rivelazione
Il dogma non nasce dall’essere, ma dalla volontà di determinare. Non si “decide” la natura del nomos, della certezza, del dogma… perché essa non è un oggetto da determinare; si decide attraverso il nomos. È un gesto, non una contemplazione. Si decide perché si può, non perché si sa. E la “certezza” che ne risulta è di tipo tecnico-performativo: non è ontologica (non svela la struttura dell’essere); non è naturale (non coincide con la phýsis, che resta opaca); è logico-costruttiva, valida all’interno della sintesi linguistica e della coerenza che essa impone a sé stessa.
3. L’esempio cristologico perfetto
Figlio di Dio → Logos → Carne → Adamo → deduzione teologica.
Ma questa validità è: endogena al sistema simbolico; von verificabile nella phýsis, che rimane inconoscibile. Stabilita per necessità costruttiva, non per rivelazione naturale. In altri termini: la decisione dogmatica è atto di costruzione coesa, non scoperta di una legge naturale. È una scelta performativa che si presenta come necessaria per mantenere la coerenza interna del sistema che la enuncia. Nei Taccuini dobbiamo sviluppare, eviscerare, indagare approfonditamente. Scavare. Ancora. Fino all'oltre della pala che tocca il fondo.
Palese l'errore, che dovrebbe vedere ciò che la carne restituisce al Verbo.
Figlio di Dio ⟷ Logos → Carne → Adamo → deduzione teologica.
Teologia non precede la carne ma ne è un derivato cognitivo: è la reazione del linguaggio al proprio riflesso biologico. In termini brutali: la teologia nasce come tentativo dell’uomo (carne parlante) di giustificare la propria stessa esistenza simbolica. il cosiddetto Logos non è il Verbo di Dio, ma la vibrazione della materia che parla di sé. Il “Figlio” non è il Cristo storico, ma l’eco di questa vibrazione che si fa consapevole. La “deduzione teologica” non è una rivelazione, ma un residuo linguistico dell’autointerpretazione della carne.
4. Non si può decidere l’inconoscibile perché si norma
La natura — phýsis — è, per definizione, non-normata. Normare ciò che non è dato è atto di proiezione, non di conoscenza. Si può "decidere", ma non di qualcosa: si "decide" su, intorno, attraverso strutture linguistiche che assumono provvisoriamente di essere il reale. La norma si installa sul “non detto” come un ponte sul vuoto: non tocca il fondo, ma permette di attraversarlo.
5. Validità logica vs partecipazione al reale
“La validità appartiene alla logica, per coerenza di una realtà che formula la stessa tesi, ma che non ha chiarezza del partecipare al reale”. La logica garantisce coerenza interna — non verità ontologica. La realtà del linguaggio formula tesi su sé stessa, e le valida al proprio interno. Ma la sua partecipazione al reale resta oscura, mediata, mai posseduta pienamente.
E qui torniamo al cuore del ragionamento:
Nomos → certezza dogmatica, performativa, teatrale.
Phýsis → opacità radicale, inconoscibile, non normabile.
Dogma→ decisione tecnica che amplifica la propria natura per farsi udire, non per svelare verità.
Logos → struttura di coerenza che decide perché può, non perché coglie l’essere.
Nomos non è maschera che nasconde, ma megafono che amplifica. Il dogma non è rivelazione, ma gesto teatrale che si finge necessario. Logos non coglie la phýsis: la circuisce, la nomina, la rende plausibile ai propri occhi. Si decide perché si può. Non perché si sa.
L'uomo sceglie, non può decidere. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
Scrivere senza catene, capire in assenza di dogmi. La voce che attraversa le crepe della mente. Un viaggio tra filosofia, scienza, esperienza, vita interiore. PSYKOSAPIENS è libertà di pensiero, chiarezza mentale, lucidità, evoluzione. A cura di Rea V. Zara, Counselor Psicosociale.
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19 OCT 2025 · 1. “Legge” — Nomos, Ius, Tecne. Nomos in greco non significa semplicemente “legge” in senso moderno. Indica ciò che è stabilito, distribuito, assegnato: la norma come atto di divisione e imposizione. È il taglio culturale che ordina il caos. Ius (latino) deriva da una radice indoeuropea che richiama l’idea di “ciò che si congiunge, ciò che è retto” (yewes, “legare insieme”). Ora potrete andare "più indietro". E sin dove? E sin quando? Il diritto romano nasce come forma di connessione tecnica — non è “naturale”, ma fatta per funzionare in un corpo sociale complesso. Facere: la legge è fatta, prodotta, manipolabile. È tecnica, non verità. Tecne / ars: il diritto, sin dall’inizio, è arte regolativa, non epifania. È un modo di scolpire il comportamento, non di rivelare l’essere. Qui la “certezza” è apparente. La legge scritta, codificata, appare solida perché è iscritta su pietra, pergamena, o nei codici digitali. Ma in realtà poggia su convenzioni storiche, rapporti di forza, interpretazioni — cioè su strutture eminentemente dubbiose, malgrado il tono dogmatico.
2. “Natura” — Phýsis, Díkē. Il concetto di phýsis (natura) precede e sovrasta la legge scritta. Non è una norma ma un emergere, un venire alla luce. Díkē (giustizia, ma in senso pre-giuridico) non è “giusto” perché stabilito da un legislatore, ma perché aderente a un ordine cosmico. Prima che diventi tribunale, è flusso di equilibrio tra forze. Qui la “certezza” è differente: non è convenzione, ma esperienza sensibile e biologica. Per esempio: mangiare, dormire, difendersi, generare — sono strutture pre-nomiche, inscritte nel corpo. Il bipede nasce già immerso in un sistema di regolarità naturali: la gravità, la fame, il dolore, la ciclicità, la mortalità. Sono “certe” perché nessuna deliberazione le abolisce. Il Senato può votare all’unanimità che l’uomo non morirà: la morte se ne infischia.
3. Antifonte — il sofista che squarciò il velo. Il tal Antifonte (V sec. a.C.), politico, retore, drammaturgo e logografo, precursore de "L'interpretazione dei sogni", nei cosiddetti frammenti “sulla verità” scrive: “Molte cose che sono giuste secondo la legge, sono in contrasto con la natura”. E ancora: “Chi trasgredisce la legge quando nessuno vede, si libera della tirannia umana e resta fedele a quella naturale”. Non è nichilismo, è lucidità: il nomos è un artificio fragile, costruito per tenere insieme ciò che la phýsis tende a sparpagliare. Ma quando il nomos contraddice strutture biologiche profonde, genera ipocrisie, malattie sociali e paradossi. Antifonte anticipa già la critica moderna alle leggi positive che ignorano la realtà materiale. È il primo a dire: “State attenti — credete che la legge sia certa, ma è la più dubbia delle costruzioni”. La credenza attiene al desiderio, il desidero alla credenza. Entrambe a giustificazioni. Danni.
4. Strutture certe vs dubbiose. Possiamo distinguere certe strutture: quelle che derivano dalla biologia o dalla fisica — fame, dolore, sessualità, crescita, morte, ritmi circadiani, processi chimici, limiti percettivi, dinamiche di potere elementari. Non perché siano “verità eterne”, ma perché agiscono indipendentemente dalle opinioni. Strutture dubbiose: quelle costruite su linguaggio, simboli, codici, giurisprudenza, religioni, ideologie. Sono fluttuanti, storicamente localizzate, reversibili.
5. Astrazioni concretizzate vs “verità”. Astrazione concretizzata: quando un concetto (es. “diritto naturale”, “proprietà”, “Stato”) viene trattato come fosse reale quanto un albero o un fegato. Ma è un fantasma socialmente condiviso. Queste astrazioni diventano “certe” solo perché sedimentate e difese con la forza. Verità biologica: non nel senso assoluto, ma nel senso di “vincoli materiali non aggirabili”. Un esempio: il bisogno di ossigeno. Non è “vero” perché lo decidiamo; è “vero” perché se lo ignori, “muori”.
6. Prima e dopo: radici temporali. Radicate prima: tutto ciò che precede la codificazione linguistica e giuridica: biologia, percezione, pulsioni, cicli naturali. Radicate dopo: norme, leggi, codici, ideali, categorie morali, forme di governo, linguaggi logici. Sono sovrastrutture. Tra queste due dimensioni non c’è separazione netta: il nomos tenta di imitare, disciplinare o negare la phýsis. Ma mai la annulla.
7. Dubbio e certezza — il gioco eterno. Ogni volta che un bipede erige un nomos (legge positiva, diritto, codice), lo fa per produrre certezza. Ma ogni volta che lo confronta con la phýsis, la certezza si sbriciola. E ogni volta che si rifugia nella phýsis come “vera legge”, si accorge che la natura è ambigua, crudele, indifferente. Caos. E allora torna al nomos. E così — dubbio, certezza, dubbio, certezza… come una marea epistemica.
Nomos è l’impalcatura fragile sul ventre di una montagna viva. Phýsis è la montagna: non parla, non promette, ma schiaccia chi dimentica la sua durezza. Antifonte, con un sussurro, ci avvisò: “Non scambiate la legge scritta per legge reale. La seconda vi giudica anche se non la leggete”. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
Scrivere senza catene, capire in assenza di dogmi. La voce che attraversa le crepe della mente. Un viaggio tra filosofia, scienza, esperienza, vita interiore. PSYKOSAPIENS è libertà di pensiero, chiarezza mentale, lucidità, evoluzione. A cura di Rea V. Zara, Counselor Psicosociale.
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18 OCT 2025 · Equilibrio danzante: la mente come acrobata su un filo, con sotto l’abisso e sopra il cielo, che non cerca un terreno solido ma impara a camminare senza cadere nella trappola dell’assoluto. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
Scrivere senza catene, capire in assenza di dogmi. La voce che attraversa le crepe della mente. Un viaggio tra filosofia, scienza, esperienza, vita interiore. PSYKOSAPIENS è libertà di pensiero, chiarezza mentale, lucidità, evoluzione. A cura di Rea V. Zara, Counselor Psicosociale.
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17 OCT 2025 · Le certezze sono scorci d’ombra che proiettiamo contro la parete dell’infinito. Dubitare dei nostri dubbi stessi, delle premesse che motivano il dubbio, delle retoriche interne che definiscono cosa merita di essere dubitato. Questo è un esercizio metadubitativo: un’auto-interrogazione perpetua. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
Scrivere senza catene, capire in assenza di dogmi. La voce che attraversa le crepe della mente. Un viaggio tra filosofia, scienza, esperienza, vita interiore. PSYKOSAPIENS è libertà di pensiero, chiarezza mentale, lucidità, evoluzione. A cura di Rea V. Zara, Counselor Psicosociale.
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16 OCT 2025 · Le certezze sono certe?
Domanda che sembra semplice — ma sotto ha l’abisso. Se una “certezza” è tale solo perché la chiamiamo così, allora è una certezza nominale, non sostanziale. Se è tale perché resiste a ogni confutazione, allora è provvisoriamente stabile, non assoluta. Se invece fosse davvero assoluta… non avremmo modo di dimostrarlo: saremmo parte del suo stesso sistema, incapaci di vederne i limiti. Quindi: le certezze logiche sono spesso tautologie (es. “A è A”) — valide per definizione, ma sterili. Le certezze empiriche sono condizionate dai sensi e dai paradigmi scientifici — storicamente mutevoli. Le certezze personali sono spesso pulsioni mascherate da verità, ancore psicologiche per non precipitare nell’indeterminato. Risultato: le certezze sono certe solo per chi ha bisogno che lo siano. E appena le metti sotto una buona luce critica, spesso si sbriciolano come gesso bagnato. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
Scrivere senza catene, capire in assenza di dogmi. La voce che attraversa le crepe della mente. Un viaggio tra filosofia, scienza, esperienza, vita interiore. PSYKOSAPIENS è libertà di pensiero, chiarezza mentale, lucidità, evoluzione. A cura di Rea V. Zara, Counselor Psicosociale.
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12 OCT 2025 · “Le certezze sono certe?”
È un cortocircuito filosofico intrigante: “certezza” suona come sinonimo di assenza di dubbio, ma quel “certe” dentro “certezze” sembra un paradosso. Le certezze si fondano su premesse — sensate, percezioni, ragionamenti — che a loro volta sono fragili, mutevoli. Allora dire “sono certe” significa che il fondamento è incrollabile. Ma chi può garantire che lo sia? Sospetto: nessuno. Le certezze sono scorci d’ombra che proiettiamo contro la parete dell’infinito.
“Chi dubita dei propri dubbi?”
Ecco un livello più meditativo: non è sufficiente dubitare; se si dubita dei nostri dubbi stessi, delle premesse che motivano il dubbio, delle retoriche interne che definiscono cosa merita di essere dubitato, si pratica un esercizio metadubitativo: un’auto-interrogazione perpetua.
1. “Le certezze sono certe?” — Il crollo dell’assoluto per eccesso di peso
La parola certezza deriva dal latino certus, participio passato di cernĕre, “separare, distinguere, decidere”. Certus è ciò che è stato “cernuto”, scelto, isolato dal flusso delle possibilità come stabile. È già un atto di taglio, non un dato.
Il tal Socrate, nel Menone e nei dialoghi aporetici, par smantellare continuamente la certezza apparente dei suoi interlocutori: non perché voglia imporre un dubbio sterile, ma perché ogni doxa (opinione) che si crede sapere mostra crepe quando la si interroga. Socrate non distrugge, scava.
Il tal Pirrone e i suoi seguaci scettici par andarono oltre: non solo non abbiamo certezze, ma anche se le avessimo non potremmo sapere di averle. La epoché (sospensione del giudizio) è la risposta pratica: vivere senza affermare né negare assoluti, per conquistare una forma di ataraxia (imperturbabilità).
Il tal Gadamer, molto più tardi, in Verità e metodo, par mostrare che ogni “certezza” è in realtà un orizzonte storico e linguistico. Non esistono certezze fuori dal linguaggio; esistono solo precomprensioni che si credono universali finché non vengono messe in dialogo con altre.
In altre parole: la certezza è una costruzione situata. È figlia del tempo, della lingua, della fisiologia percettiva, della cultura. Come una trave che regge il soffitto finché non ti accorgi che è fatta di gesso.
2. “Chi dubita dei propri dubbi?” — Il ribaltamento metariflessivo
Qui si compie un salto più raro. Non si tratta più di chiedere se abbiamo certezze, ma chi controlla il meccanismo del dubbio.
Il dubbio è spesso accolto come un principio “puro”: cartesiano, metodico, garante della ragione. Ma…
Il tal Cartesio dubita di tutto, eccetto del dubbio stesso, che lo conduce al celebre cogito. Tuttavia, non dubita mai della struttura stessa del dubbio. Questo è il tallone d’Achilleus del metodo: il dubbio diventa un nuovo dogma, un fondamento indiscusso.
Il tal Sesto Empirico era più radicale: anche il dubbio deve essere sospeso. Se dubiti e ti aggrappi al dubbio, hai solo sostituito un idolo con un altro. Occorrerebbe dubitare anche del dubbio, altrimenti si resta prigionieri di un’idea negativa ma ancora totalizzante.
Nuovamente il tal Gadamer, suggerisce che la vera comprensione nasce non dal sospetto assoluto, ma dal riconoscimento dei nostri pregiudizi produttivi: ciò che ci permette di pensare è anche ciò che dobbiamo continuamente mettere in questione. È un gioco di orizzonti mobili.
Dubitare dei propri dubbi significa riconoscere che il dubbio stesso ha motivazioni, pulsioni, linguaggi impliciti, bias. Il dubbio può essere ideologico, emotivo, difensivo. Può servire a proteggere zone d’ombra più che a illuminare.
Dubitare dei propri dubbi è dubitare del dispositivo che ti fa dubitare. È il punto cieco che osserva sé stesso allo specchio.
Certezze fragili: costruzioni temporanee
Dopo aver distrutto certezze e dubbi, rimane una domanda pratica: come vivere, pensare, agire?
La risposta che propongo — a metà tra Gadamer e una certa lucidità tragica — è questa:
Le “certezze” non vanno eliminate, ma trattate come strutture provvisorie, come impalcature per edifici in perenne restauro.
Dubitare dei propri dubbi non significa dissolversi nell’indecisione, ma impedire che il dubbio diventi nuova tirannia. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
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5 OCT 2025 · Ragionare per trovare la ragione del ragionare è come accendere una lampada per cercare la lampada.
Decadenza Dentro la Decadenza è un’indagine filosofica che disvela il disfacimento dell’essere e la complicità del mondo con il proprio sopore. Attraverso una critica radicale delle strutture morali, delle categorie aristoteliche e del pensiero socratico, il testo espone l’uomo decadente, ridotto a simulacro, privo di radici e immerso in una realtà di efferatezza. Mostrare il Mostro diventa un atto rivelatore e implacabile: l’orrore non viene edulcorato ma esposto come una terribile meraviglia, seducente nella sua crudeltà. L’amore si spoglia delle sue illusioni metafisiche, rivelando la fusione corporea, mentre l’innamoramento è smascherato come inganno sensoriale e fuga dall’incontro autentico. Questo testo non offre salvezza né redenzione: è un manifesto per la liberazione del pensiero attraverso la distruzione delle sue strutture, una chiamata a osservare l’abisso senza distogliere lo sguardo.
Si ragiona perché il cervello, questo ammasso di sinapsi ghiotte di pattern, cerca di ridurre complessità e aumentare probabilità di sopravvivenza. Ragionare è un trucco evolutivo: serve a non farsi mangiare, a costruire strumenti, a prevedere il temporale.
Si ragiona non per trovare ragioni, ma per dimenticare che o non ce ne sono o se ce ne sono non si hanno. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
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28 SEP 2025 · Attraverso un’indagine cruda e priva di consolazioni, il testo mostra il mostro nella sua dimensione più disturbante e concreta, rivelando il marciume e la crudeltà che ne costituiscono l’essenza. Ogni gesto del criminale è un atto di negazione dell’essere, che trasforma la cosiddetta vittima in frammenti di materia disgregata, annullando la sua (cosiddetta) identità. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
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21 SEP 2025 · Attraversare il Paradosso e Mostrare il Mostro è un’indagine filosofica che decostruisce le categorie dualistiche della mente umana, svelando il paradosso come condizione essenziale dell’esistenza. Il mostro — simbolo dell’orrore interiore —, una parte inevitabile della realtà, non è da reprimere, ma da rivelare. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
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14 SEP 2025 · In queso episodio indaghiamo tra le crette, muovendo da humanitas a DUDU. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
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24 OCT 2025 · Dilatando un aforismo metabolico...
Vediamo maschere tra spettri.
Nomos è certezza, che separa, divide, decide? Il "suo" "carattere" è dogmatico. Ma qui, ribaltiamo: ecco la "sua" "personalità", la maschera che indossa per amplificare la propria natura – e non per nasconderla – (si pensi al teatro e all'esigenza di amplificare pel gaudio di coloro che spettano da lontano).
L'uomo sceglie, non può decidere.
Ma quindi, "dogma" innova in decisione, dogmatizzo in decido: è certezza, che è nomos innovato.
Ma non si decide la natura del nomos, della certezza, del dogma, perché si da, perché si danno. Si decide perché si può. E quindi, in esempi: non dogmatizzo filioque e l'anti specchio recapitulatio, giacché il logos si è fatto carne, e quindi così è... perché decido verità, perché così è nella struttura dell'essere è del logos che è. Verità non si decide. Non nella struttura della natura, che è inconoscibile. Berberità. Non si può decidere l'inconoscibile perchè si norma, per il dato che non è dato. Si può decidere per il solo assunto che si rende per possibilità necessario giustificare la sintesi costruita per postulato implicito di validità nella tesi. Ma è chiaro che validità appartiene alla logica, per coerenza di una realtà che formula la stessa tesi, ma che non ha chiarezza del partecipare al reale, del reale.
Ma torniamo a carattere e personalità.
La maschera è essa stessa la sua natura. Non copre, amplifica. Esattamente come nel teatro greco: prósōpon (maschera). Serviva non a occultare l’attore, ma a portare la voce più lontano, a renderla udibile da tutta la cavea.
1. Nomos come certezza scenica
Nomos è la certezza che decide, divide, taglia. Ma è una certezza teatrale, costruita per amplificare la propria decisione, non per celarla. La certezza del nomos è dogmatica non perché impone verità, ma perché impone forma. Dogma, da dokein, “sembrare, apparire, sembrare giusto”: è ciò che “pare” evidente perché si mostra come tale, non perché lo sia. La decisione è atto performativo, non epifania. Si decide non perché la natura del nomos sia conoscibile, ma perché la decisione è possibile in quanto atto di potere e di linguaggio. Strumento, quanto un ferro vecchio.
2. Dogma: decisione performativa, non rivelazione
Il dogma non nasce dall’essere, ma dalla volontà di determinare. Non si “decide” la natura del nomos, della certezza, del dogma… perché essa non è un oggetto da determinare; si decide attraverso il nomos. È un gesto, non una contemplazione. Si decide perché si può, non perché si sa. E la “certezza” che ne risulta è di tipo tecnico-performativo: non è ontologica (non svela la struttura dell’essere); non è naturale (non coincide con la phýsis, che resta opaca); è logico-costruttiva, valida all’interno della sintesi linguistica e della coerenza che essa impone a sé stessa.
3. L’esempio cristologico perfetto
Figlio di Dio → Logos → Carne → Adamo → deduzione teologica.
Ma questa validità è: endogena al sistema simbolico; von verificabile nella phýsis, che rimane inconoscibile. Stabilita per necessità costruttiva, non per rivelazione naturale. In altri termini: la decisione dogmatica è atto di costruzione coesa, non scoperta di una legge naturale. È una scelta performativa che si presenta come necessaria per mantenere la coerenza interna del sistema che la enuncia. Nei Taccuini dobbiamo sviluppare, eviscerare, indagare approfonditamente. Scavare. Ancora. Fino all'oltre della pala che tocca il fondo.
Palese l'errore, che dovrebbe vedere ciò che la carne restituisce al Verbo.
Figlio di Dio ⟷ Logos → Carne → Adamo → deduzione teologica.
Teologia non precede la carne ma ne è un derivato cognitivo: è la reazione del linguaggio al proprio riflesso biologico. In termini brutali: la teologia nasce come tentativo dell’uomo (carne parlante) di giustificare la propria stessa esistenza simbolica. il cosiddetto Logos non è il Verbo di Dio, ma la vibrazione della materia che parla di sé. Il “Figlio” non è il Cristo storico, ma l’eco di questa vibrazione che si fa consapevole. La “deduzione teologica” non è una rivelazione, ma un residuo linguistico dell’autointerpretazione della carne.
4. Non si può decidere l’inconoscibile perché si norma
La natura — phýsis — è, per definizione, non-normata. Normare ciò che non è dato è atto di proiezione, non di conoscenza. Si può "decidere", ma non di qualcosa: si "decide" su, intorno, attraverso strutture linguistiche che assumono provvisoriamente di essere il reale. La norma si installa sul “non detto” come un ponte sul vuoto: non tocca il fondo, ma permette di attraversarlo.
5. Validità logica vs partecipazione al reale
“La validità appartiene alla logica, per coerenza di una realtà che formula la stessa tesi, ma che non ha chiarezza del partecipare al reale”. La logica garantisce coerenza interna — non verità ontologica. La realtà del linguaggio formula tesi su sé stessa, e le valida al proprio interno. Ma la sua partecipazione al reale resta oscura, mediata, mai posseduta pienamente.
E qui torniamo al cuore del ragionamento:
Nomos → certezza dogmatica, performativa, teatrale.
Phýsis → opacità radicale, inconoscibile, non normabile.
Dogma→ decisione tecnica che amplifica la propria natura per farsi udire, non per svelare verità.
Logos → struttura di coerenza che decide perché può, non perché coglie l’essere.
Nomos non è maschera che nasconde, ma megafono che amplifica. Il dogma non è rivelazione, ma gesto teatrale che si finge necessario. Logos non coglie la phýsis: la circuisce, la nomina, la rende plausibile ai propri occhi. Si decide perché si può. Non perché si sa.
L'uomo sceglie, non può decidere. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
Scrivere senza catene, capire in assenza di dogmi. La voce che attraversa le crepe della mente. Un viaggio tra filosofia, scienza, esperienza, vita interiore. PSYKOSAPIENS è libertà di pensiero, chiarezza mentale, lucidità, evoluzione. A cura di Rea V. Zara, Counselor Psicosociale.
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19 OCT 2025 · 1. “Legge” — Nomos, Ius, Tecne. Nomos in greco non significa semplicemente “legge” in senso moderno. Indica ciò che è stabilito, distribuito, assegnato: la norma come atto di divisione e imposizione. È il taglio culturale che ordina il caos. Ius (latino) deriva da una radice indoeuropea che richiama l’idea di “ciò che si congiunge, ciò che è retto” (yewes, “legare insieme”). Ora potrete andare "più indietro". E sin dove? E sin quando? Il diritto romano nasce come forma di connessione tecnica — non è “naturale”, ma fatta per funzionare in un corpo sociale complesso. Facere: la legge è fatta, prodotta, manipolabile. È tecnica, non verità. Tecne / ars: il diritto, sin dall’inizio, è arte regolativa, non epifania. È un modo di scolpire il comportamento, non di rivelare l’essere. Qui la “certezza” è apparente. La legge scritta, codificata, appare solida perché è iscritta su pietra, pergamena, o nei codici digitali. Ma in realtà poggia su convenzioni storiche, rapporti di forza, interpretazioni — cioè su strutture eminentemente dubbiose, malgrado il tono dogmatico.
2. “Natura” — Phýsis, Díkē. Il concetto di phýsis (natura) precede e sovrasta la legge scritta. Non è una norma ma un emergere, un venire alla luce. Díkē (giustizia, ma in senso pre-giuridico) non è “giusto” perché stabilito da un legislatore, ma perché aderente a un ordine cosmico. Prima che diventi tribunale, è flusso di equilibrio tra forze. Qui la “certezza” è differente: non è convenzione, ma esperienza sensibile e biologica. Per esempio: mangiare, dormire, difendersi, generare — sono strutture pre-nomiche, inscritte nel corpo. Il bipede nasce già immerso in un sistema di regolarità naturali: la gravità, la fame, il dolore, la ciclicità, la mortalità. Sono “certe” perché nessuna deliberazione le abolisce. Il Senato può votare all’unanimità che l’uomo non morirà: la morte se ne infischia.
3. Antifonte — il sofista che squarciò il velo. Il tal Antifonte (V sec. a.C.), politico, retore, drammaturgo e logografo, precursore de "L'interpretazione dei sogni", nei cosiddetti frammenti “sulla verità” scrive: “Molte cose che sono giuste secondo la legge, sono in contrasto con la natura”. E ancora: “Chi trasgredisce la legge quando nessuno vede, si libera della tirannia umana e resta fedele a quella naturale”. Non è nichilismo, è lucidità: il nomos è un artificio fragile, costruito per tenere insieme ciò che la phýsis tende a sparpagliare. Ma quando il nomos contraddice strutture biologiche profonde, genera ipocrisie, malattie sociali e paradossi. Antifonte anticipa già la critica moderna alle leggi positive che ignorano la realtà materiale. È il primo a dire: “State attenti — credete che la legge sia certa, ma è la più dubbia delle costruzioni”. La credenza attiene al desiderio, il desidero alla credenza. Entrambe a giustificazioni. Danni.
4. Strutture certe vs dubbiose. Possiamo distinguere certe strutture: quelle che derivano dalla biologia o dalla fisica — fame, dolore, sessualità, crescita, morte, ritmi circadiani, processi chimici, limiti percettivi, dinamiche di potere elementari. Non perché siano “verità eterne”, ma perché agiscono indipendentemente dalle opinioni. Strutture dubbiose: quelle costruite su linguaggio, simboli, codici, giurisprudenza, religioni, ideologie. Sono fluttuanti, storicamente localizzate, reversibili.
5. Astrazioni concretizzate vs “verità”. Astrazione concretizzata: quando un concetto (es. “diritto naturale”, “proprietà”, “Stato”) viene trattato come fosse reale quanto un albero o un fegato. Ma è un fantasma socialmente condiviso. Queste astrazioni diventano “certe” solo perché sedimentate e difese con la forza. Verità biologica: non nel senso assoluto, ma nel senso di “vincoli materiali non aggirabili”. Un esempio: il bisogno di ossigeno. Non è “vero” perché lo decidiamo; è “vero” perché se lo ignori, “muori”.
6. Prima e dopo: radici temporali. Radicate prima: tutto ciò che precede la codificazione linguistica e giuridica: biologia, percezione, pulsioni, cicli naturali. Radicate dopo: norme, leggi, codici, ideali, categorie morali, forme di governo, linguaggi logici. Sono sovrastrutture. Tra queste due dimensioni non c’è separazione netta: il nomos tenta di imitare, disciplinare o negare la phýsis. Ma mai la annulla.
7. Dubbio e certezza — il gioco eterno. Ogni volta che un bipede erige un nomos (legge positiva, diritto, codice), lo fa per produrre certezza. Ma ogni volta che lo confronta con la phýsis, la certezza si sbriciola. E ogni volta che si rifugia nella phýsis come “vera legge”, si accorge che la natura è ambigua, crudele, indifferente. Caos. E allora torna al nomos. E così — dubbio, certezza, dubbio, certezza… come una marea epistemica.
Nomos è l’impalcatura fragile sul ventre di una montagna viva. Phýsis è la montagna: non parla, non promette, ma schiaccia chi dimentica la sua durezza. Antifonte, con un sussurro, ci avvisò: “Non scambiate la legge scritta per legge reale. La seconda vi giudica anche se non la leggete”. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
Scrivere senza catene, capire in assenza di dogmi. La voce che attraversa le crepe della mente. Un viaggio tra filosofia, scienza, esperienza, vita interiore. PSYKOSAPIENS è libertà di pensiero, chiarezza mentale, lucidità, evoluzione. A cura di Rea V. Zara, Counselor Psicosociale.
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18 OCT 2025 · Equilibrio danzante: la mente come acrobata su un filo, con sotto l’abisso e sopra il cielo, che non cerca un terreno solido ma impara a camminare senza cadere nella trappola dell’assoluto. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
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17 OCT 2025 · Le certezze sono scorci d’ombra che proiettiamo contro la parete dell’infinito. Dubitare dei nostri dubbi stessi, delle premesse che motivano il dubbio, delle retoriche interne che definiscono cosa merita di essere dubitato. Questo è un esercizio metadubitativo: un’auto-interrogazione perpetua. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
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12 OCT 2025 · “Le certezze sono certe?”
È un cortocircuito filosofico intrigante: “certezza” suona come sinonimo di assenza di dubbio, ma quel “certe” dentro “certezze” sembra un paradosso. Le certezze si fondano su premesse — sensate, percezioni, ragionamenti — che a loro volta sono fragili, mutevoli. Allora dire “sono certe” significa che il fondamento è incrollabile. Ma chi può garantire che lo sia? Sospetto: nessuno. Le certezze sono scorci d’ombra che proiettiamo contro la parete dell’infinito.
“Chi dubita dei propri dubbi?”
Ecco un livello più meditativo: non è sufficiente dubitare; se si dubita dei nostri dubbi stessi, delle premesse che motivano il dubbio, delle retoriche interne che definiscono cosa merita di essere dubitato, si pratica un esercizio metadubitativo: un’auto-interrogazione perpetua.
1. “Le certezze sono certe?” — Il crollo dell’assoluto per eccesso di peso
La parola certezza deriva dal latino certus, participio passato di cernĕre, “separare, distinguere, decidere”. Certus è ciò che è stato “cernuto”, scelto, isolato dal flusso delle possibilità come stabile. È già un atto di taglio, non un dato.
Il tal Socrate, nel Menone e nei dialoghi aporetici, par smantellare continuamente la certezza apparente dei suoi interlocutori: non perché voglia imporre un dubbio sterile, ma perché ogni doxa (opinione) che si crede sapere mostra crepe quando la si interroga. Socrate non distrugge, scava.
Il tal Pirrone e i suoi seguaci scettici par andarono oltre: non solo non abbiamo certezze, ma anche se le avessimo non potremmo sapere di averle. La epoché (sospensione del giudizio) è la risposta pratica: vivere senza affermare né negare assoluti, per conquistare una forma di ataraxia (imperturbabilità).
Il tal Gadamer, molto più tardi, in Verità e metodo, par mostrare che ogni “certezza” è in realtà un orizzonte storico e linguistico. Non esistono certezze fuori dal linguaggio; esistono solo precomprensioni che si credono universali finché non vengono messe in dialogo con altre.
In altre parole: la certezza è una costruzione situata. È figlia del tempo, della lingua, della fisiologia percettiva, della cultura. Come una trave che regge il soffitto finché non ti accorgi che è fatta di gesso.
2. “Chi dubita dei propri dubbi?” — Il ribaltamento metariflessivo
Qui si compie un salto più raro. Non si tratta più di chiedere se abbiamo certezze, ma chi controlla il meccanismo del dubbio.
Il dubbio è spesso accolto come un principio “puro”: cartesiano, metodico, garante della ragione. Ma…
Il tal Cartesio dubita di tutto, eccetto del dubbio stesso, che lo conduce al celebre cogito. Tuttavia, non dubita mai della struttura stessa del dubbio. Questo è il tallone d’Achilleus del metodo: il dubbio diventa un nuovo dogma, un fondamento indiscusso.
Il tal Sesto Empirico era più radicale: anche il dubbio deve essere sospeso. Se dubiti e ti aggrappi al dubbio, hai solo sostituito un idolo con un altro. Occorrerebbe dubitare anche del dubbio, altrimenti si resta prigionieri di un’idea negativa ma ancora totalizzante.
Nuovamente il tal Gadamer, suggerisce che la vera comprensione nasce non dal sospetto assoluto, ma dal riconoscimento dei nostri pregiudizi produttivi: ciò che ci permette di pensare è anche ciò che dobbiamo continuamente mettere in questione. È un gioco di orizzonti mobili.
Dubitare dei propri dubbi significa riconoscere che il dubbio stesso ha motivazioni, pulsioni, linguaggi impliciti, bias. Il dubbio può essere ideologico, emotivo, difensivo. Può servire a proteggere zone d’ombra più che a illuminare.
Dubitare dei propri dubbi è dubitare del dispositivo che ti fa dubitare. È il punto cieco che osserva sé stesso allo specchio.
Certezze fragili: costruzioni temporanee
Dopo aver distrutto certezze e dubbi, rimane una domanda pratica: come vivere, pensare, agire?
La risposta che propongo — a metà tra Gadamer e una certa lucidità tragica — è questa:
Le “certezze” non vanno eliminate, ma trattate come strutture provvisorie, come impalcature per edifici in perenne restauro.
Dubitare dei propri dubbi non significa dissolversi nell’indecisione, ma impedire che il dubbio diventi nuova tirannia. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
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5 OCT 2025 · Ragionare per trovare la ragione del ragionare è come accendere una lampada per cercare la lampada.
Decadenza Dentro la Decadenza è un’indagine filosofica che disvela il disfacimento dell’essere e la complicità del mondo con il proprio sopore. Attraverso una critica radicale delle strutture morali, delle categorie aristoteliche e del pensiero socratico, il testo espone l’uomo decadente, ridotto a simulacro, privo di radici e immerso in una realtà di efferatezza. Mostrare il Mostro diventa un atto rivelatore e implacabile: l’orrore non viene edulcorato ma esposto come una terribile meraviglia, seducente nella sua crudeltà. L’amore si spoglia delle sue illusioni metafisiche, rivelando la fusione corporea, mentre l’innamoramento è smascherato come inganno sensoriale e fuga dall’incontro autentico. Questo testo non offre salvezza né redenzione: è un manifesto per la liberazione del pensiero attraverso la distruzione delle sue strutture, una chiamata a osservare l’abisso senza distogliere lo sguardo.
Si ragiona perché il cervello, questo ammasso di sinapsi ghiotte di pattern, cerca di ridurre complessità e aumentare probabilità di sopravvivenza. Ragionare è un trucco evolutivo: serve a non farsi mangiare, a costruire strumenti, a prevedere il temporale.
Si ragiona non per trovare ragioni, ma per dimenticare che o non ce ne sono o se ce ne sono non si hanno. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
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28 SEP 2025 · Attraverso un’indagine cruda e priva di consolazioni, il testo mostra il mostro nella sua dimensione più disturbante e concreta, rivelando il marciume e la crudeltà che ne costituiscono l’essenza. Ogni gesto del criminale è un atto di negazione dell’essere, che trasforma la cosiddetta vittima in frammenti di materia disgregata, annullando la sua (cosiddetta) identità. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
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14 SEP 2025 · In queso episodio indaghiamo tra le crette, muovendo da humanitas a DUDU. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
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7 SEP 2025 · In questo episodio, esploriamo come il tal Paolo di Tarso, il tal Platone, la famiglia tradizionale e i culti solari abbiano trasformato l’essenza viscerale dell’uomo in una prigione di idee, miti e narrazioni. Un saggio che svela le maschere del pensiero occidentale, la sacralizzazione della famiglia come strumento di dominio, il mito del progresso, e l’ipocrisia come fondamento delle civiltà. Dall’illusione del bene e del male alla trappola del denaro come nuova divinità, un invito a dissolvere le illusioni per ritrovare la materia e il sentire. L’oltre uomo non è un ideale, ma un ritorno alla carne viva del presente. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
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25 MAY 2025 · Analisi del pensiero pre-riflessivo come espressione biologica primordiale del cuore, del pensiero riflessivo come elaborazione guidata dal corpo e del ruolo delle tossine sociali nel generare traumi che alterano l'esistenza umana. Diventa un supporter di questo podcast: https://www.spreaker.com/podcast/1962--6222858/support.
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Un Taccuino a settimana, per la mente sana.
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Information
| Author | Rea V. Zara |
| Organization | PSYKOSAPIENS |
| Categories | Science , Philosophy , Mental Health |
| Website | psykos.framer.ai |
| psykosapiens@icloud.com |
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