15 FEB 2025 · Nel mondo antico, il filosofo non era un mero speculatore astratto, ma un uomo integro, in cui l’esercizio del pensiero non poteva prescindere dalla disciplina del corpo e dalla contemplazione del cielo. Socrate, Platone, Aristotele, gli Stoici e i Neoplatonici sapevano che il sapere non era una sterile elucubrazione, ma un’arte che richiedeva vigore fisico e apertura cosmica. La sapienza si forgiava nei ginnasi, nei dialoghi all’aria aperta, nel confronto con le stelle e i ritmi dell’universo.
Oggi, la filosofia si è rinchiusa in un recinto accademico, separata dalla corporeità e sradicata dal cosmo. Il filosofo moderno, chino sui libri e avulso dalla realtà fisica, deride ciò che un tempo era considerato fondamento della conoscenza: il movimento, la forza, l’armonia tra il microcosmo umano e il macrocosmo celeste. L’astrologia, che per secoli fu parte della ricerca della verità, è stata relegata a superstizione, dimenticando che proprio i pensatori da cui si attinge oggi la respingevano ben diversamente.
Questo episodio è un viaggio attraverso il paradosso della filosofia moderna: come ha potuto, nel tentativo di purificarsi da ciò che riteneva irrazionale, mutilare sé stessa, privandosi del corpo e delle stelle? È ancora possibile un ritorno alla visione antica, in cui il sapere non si frammenta ma si espande, abbracciando la pienezza dell’essere? Forse, per ritrovare la vera sapienza, il filosofo deve tornare a correre, a respirare, a sollevare lo sguardo, per riscoprire ciò che un tempo sapeva: che il pensiero non è solo nella mente, ma nel corpo che si muove e nel cielo che lo sovrasta.