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26 MAR 2025 · VIDEO: Trailer del film ➜https://www.filmgarantiti.it/it/articoli.php?id=570
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8108
REAGAN, UN PRESIDENTE SOTTO I RIFLETTORIÂ di Rino Cammilleri
 Quando al trono americano salì Obama, il giubilo mediatico mondiale fu assordante. Il primo presidente nero! (anche se solo mulatto). E per giunta di sinistra! (fosse stato di destra l'avrebbero subissato come traditore della razza eletta). I giurati del Premio Nobel, giusto per esibire il loro orientamento, non esitarono a insignirlo per la Pace, sulla fiducia, prima ancora che avesse mosso un passo come presidente. Né glielo revocarono quando, in tema bellico, agì come tutti gli altri presidenti americani di sinistra. Uscì subito anche un film (o era una fiction? boh, non ricordo, perché, naturalmente, non l'ho guardato/a) su di lui e la consorte Michelle, opera subito premiata. Applausi a scena aperta quando scendeva dalle scale dell'aereo con moglie e figlie, laddove il vice di Trump, JD Vance, è stato velenosamente criticato per aver fatto lo stesso a Monaco ("...al lavoro non ci si porta dietro la famiglia!").
Per gli americani la First Lady e i First Sons sono altrettanto importanti del Presidente. I capi di stato - e di governo - italiani, invece, devono quasi nascondere i loro per non subire attacchi per presunto "nepotismo". Biden, che ha graziato i guai giudiziari di suo figlio e di tutti i suoi parenti, ha incassato tutt'al più qualche mugugno dal suo popolo. Pensate se una cosa del genere fosse avvenuta da noi.
Ebbene, c'è un film, uscito da non molto, Reagan, un presidente sotto i riflettori, che sotto i riflettori italiani non c'è mai stato quantunque debitamente doppiato. E temo che all'estero sia avvenuto lo stesso. Malgrado un cast stellare (Dennis Quaid, John Voight, Penelope-Ann Miller) e che non è stato ancora più stellare per lo sforzo del regista di cercare attori quanto più possibile somiglianti ai personaggi storici narrati, solo chi ama sfruculiare i meandri del web ha saputo della sua esistenza.
Il perché è ovvio ed è icasticamente riassunto nella definizione che John Voight diede di Robert DeNiro ("A woke worm") quando quest'ultimo si presentò al pubblico con questo saluto: "Fuck Trump!". Lanciatosi con Midnight cowboy in coppia con Dustin Hoffman e da allora protagonista di innumerevoli capolavori, Voight, padre di Angelina Jolie, è cattolico convinto e dichiarato. Molto bello, nel film, il suo ruolo di ex agente del Kgb che, nel raccontare la parabola di Reagan a un novizio astioso che non digerisce la colpa di Reagan nel crollo della sua "patria", gli fa notare che per la Russia la "patria" non è il comunismo, e gli mostra i ritratti dei grandi artisti che hanno forgiato l'anima russa.
Nel film si parla apertamente dell'Urss come "impero del male", e del comunismo come di un cancro da sradicare. Reagan è presentato come uno dei più grandi presidenti americani, l'uomo che è stato capace di far crollare l'impero sovietico dopo settant'anni di oppressione. È un film di propaganda? Se sì, non si vede perché la propaganda debba essere appannaggio solo di una parte, sennò arrivano i centri sociali a sfasciare i cinema.
L'ho scritto più volte: la democrazia di massa e la propaganda politica (e con Gramsci anche culturale) sono un tutt'uno, se c'è l'una non ci può non essere l'altra, ed entrambe sono nate con la Rivoluzione Francese. Per questo Marat, Marx, Mazzini, Lenin di mestiere facevano tutti i giornalisti. Per questo tutti quelli che campano di parole, scrittori, gazzettieri, cantanti, attori, sono tutti - tranne rarissime eccezioni - tesserati a sinistra. Come disse Lenin parafrasando San Paolo (i cui metodi di proselitismo studiava attentamente), "Chi non sta con noi non mangia". Consiglio di cercare e vedere "Reagan, un presidente sotto i riflettori" per rinfrancarsi lo spirito.
5 FEB 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8070
LA RIVOLUZIONE GENDER NELLA CHIESA SI SPECCHIA NEL FILM CONCLAVEÂ di Riccardo Cascioli
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Il vescovo della diocesi francese di Coutances et Avranches, mons. Grégoir Cador ha recentemente annunciato la nomina di una vicaria generale, Audrey Dubourget, aggregata quindi al consiglio episcopale. Anche nell'arcidiocesi di Bruxelles a dicembre era stata nominata una delegata episcopale, Rebecca Charlier-Alsberge, il cui nome è stato addirittura introdotto nella Preghiera eucaristica. In Italia, nella trasmissione tv Otto e Mezzo (La7) tocca a una suora, Paola Arosio, censurare la decisione del presidente americano Donald Trump di considerare soltanto i generi maschile e femminile, decisione ritenuta violenta e non al passo con i tempi. Sulle teorie omosessualiste e transessualiste del cardinale americano Blaise Cupich potete leggere quest'altro articolo di Tommaso Scandroglio. E poi il Papa, che tra settembre e ottobre scorso ha ricevuto con grande enfasi due diversi gruppi di persone omo e transessuali, ma che soprattutto promuovono l'agenda LGBTecc. nella Chiesa.
Sono soltanto alcuni recenti fatti - se ne potrebbero citare tanti altri - che danno l'idea di come si stia realizzando nella Chiesa una vera e propria rivoluzione morale. Di più, è in atto un processo che snatura il sacerdozio.
E sono fatti che vengono immediatamente in mente dopo aver visto il film Conclave, diretto da Edward Berger e tratto dall'omonimo romanzo di Robert Harris, uscito in Italia nei giorni di Natale e ancora presente nelle sale cinematografiche con un buon successo di pubblico. Del resto parliamo di un film candidato a 8 premi Oscar, sette Golden Globes e tanti altri riconoscimenti. Dunque tra poche settimane, quando ci sarà la Notte degli Oscar, tornerà di grande attualità .
Malgrado ciò si potrebbe anche evitare di parlare di questo film, se fosse semplicemente l'ennesimo lavoro - pur cinematograficamente ben fatto - dedicato a screditare la Chiesa cattolica, con protagonisti dei cardinali dediti soltanto a trame di potere o con pesanti scheletri negli armadi. Cose già viste, si potrebbe dire.
SUBDOLA E INQUIETANTE
In realtà l'operazione Conclave è molto più subdola e inquietante. Intendiamoci, gli ingredienti del thriller vaticano ci sono tutti: a cominciare dalla colonna sonora, degna di un film di Dario Argento, che fin dalle prime scene accompagna le azioni più ordinarie e ovvie che seguono la morte di un Papa, dando l'impressione di assistere a chissà quale misfatto. Né mancano gli scandali che via via emergono a Conclave in corso e ovviamente restano chiusi nelle segrete stanze: il cardinale africano con un figlio e il canadese che trama e paga altri cardinali per avere il loro voto. Poi ci sono i due fronti contrapposti, progressisti e tradizionalisti, rigorosamente occidentali, ovviamente impegnati in una lotta semplicemente di potere. Il tutto condito, nei rari discorsi importanti, da un linguaggio politicamente corretto: su tutti l'omelia nella Messa che introduce il conclave, quando il cardinale Lawrence, il decano che fa da guida nello svolgersi del film, pronuncia un elogio del dubbio contro ogni certezza. Dubbio che peraltro esprime il suo sentimento in un momento di crisi di fede.
Fino all'epilogo in cui, azzerati a colpi di scandalo tutti i principali candidati, in virtù di un banalissimo discorso su poveri e guerre guadagna i voti per il papato il cardinale giovane, che viene dalle periferie. E che però nasconde il segreto di una natura sessuale che si intuisce intersex, anche se la descrizione che ne viene fatta è di fanta-anatomia. Alla fine il nuovo Papa, con tutta la sua ambiguità e anche banalità , emerge come l'unica figura veramente positiva del Sacro Collegio, un uomo-donna che in virtù di questa natura ha la mitezza e la propensione al dialogo - contro l'arroganza e la violenza dei maschi tossici - di cui necessitano la Chiesa e il mondo.
FINZIONE O REALTÀ?
Insomma una trama, se vogliamo, neanche troppo originale. Cosa c'è allora di inquietante in questo film? Che quella che solo un pontificato fa sarebbe stata considerata come un'opera di fanta-religione, come è stato il Codice da Vinci tanto per fare un esempio, oggi appare drammaticamente realistico. I discorsi dei cardinali nel film, in cui manca qualsiasi riferimento concreto alle ragioni della fede, sono terribilmente simili a quelli che oggi si sentono sulla bocca di tanti prelati, compreso l'elogio del dubbio, «la Chiesa non è tradizione» e così via. Anzi, nella realtà si sentono e si vedono cose ben peggiori.
Quando un vescovo promuove una mostra blasfema e un altro approva il fast food in chiesa con la giustificazione che «Gesù approverebbe», cosa vuoi che sia un cardinale ossessionato dalla paura che diventi Papa il candidato tradizionalista?
Se vogliamo, la realtà esemplificata dai fatti citati in apertura è già più avanti rispetto a quello che si vede nel film. Al punto che l'elezione a Papa di un cardinale intersex o anche transessuale, oggi - dopo l'attuale pontificato - non è più fanta-religione.
Il primo pensiero che viene in mente uscendo dal cinema è infatti che oggi questo epilogo sarebbe drammaticamente possibile, anzi ci si chiede se non sia già successo che qualche prete o vescovo sia esattamente in questa condizione. Ricordiamo che già tre anni fa la diocesi di Torino ha accettato di cresimare con il nuovo nome e genere una donna "diventata" uomo; e si può stare sicuri che altrove nel mondo occidentale non ci si scandalizzi più di casi del genere. La crescente pressione per l'accettazione nei seminari di candidati omosessuali al sacerdozio, poi va nella stessa direzione.
Nel film il Papa defunto viene a conoscenza della situazione del vescovo intersex e malgrado ciò lo nomina cardinale, gli dice «Vai avanti». Non è forse questa una situazione che ci è familiare? Non abbiamo visto in questi anni la brillante carriera di personaggi dichiaratamente pro-LGBT come il già citato cardinale Cupich o il cardinale Robert W. McElroy, promosso proprio nelle scorse settimane ad arcivescovo di Washington?
In fondo, Conclave fa da cassa di risonanza a chi nella Chiesa lavora per la sua distruzione, rendendo familiare e accettabile a un vasto pubblico, anche di cattolici, un epilogo come quello del film.
7 JAN 2025 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8031
LA VERA STORIA DI POCAHONTASÂ di Rino Cammilleri
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Celebrata in un cartoon della Disney nel 1995 e da un film di Terence Malick del 2006 (con cast stellare: Colin Ferrel e Christian Bale), la leggenda dice che l'indiana Pocahontas si innamorò dell'inglese John Smith e lo salvò dal palo della tortura. Il colono la sposò e la portò in Inghilterra. Gli americani le hanno dedicato anche un francobollo. Ma il sito housecultures.com la racconta diversa. Era figlia di un capo powhatan, Wahunsenaca, nacque verso il 1596 e cambiò nome tre volte.si chiamava Amonute. Nella cerimonia di passaggio ala maturità assunse il nome di Matoka. Ma tutti la chiamavano Pocahontas, che significa "la gioiosa" o la "giocosa", così che anche lei finì con il presentarsi con tal nome. Suo padre aveva più mogli, ma tra i powhatan della Virginia si usava che ogni moglie del capo, se incinta, lasciasse il figlio al padre e fosse libera, se lo voleva, di risposarsi. Così fu per Pocahontas, che si ritrovò con una sorella d'altra mamma. Smith, nei suoi libri di memorie, raccontò in seguito di essere stato preso dagli indiani, e che il suo catturatore, tale Opechancanough, lo aveva mostrato come preda nei vari villaggi dei powhatan: in quello di Pocahontas sarebbe stato da lei salvato dl sacrificio stabilito da suo padre.
LA VERA STORIA
Ormai gli storici sono pressoché concordi nell'affermare che Smith raccontava frottole. Nella sua autobiografia, infatti, diceva di aver visto in mare anche le sirene. È più probabile che Smith abbia preso spunto dalla storia di un conquistador spagnolo, Juan Ortiz, che nel 1528 era stato catturato dagli indiani della Florida nel corso della spedizione di Hernà n De Soto e liberato undici anni dopo grazie all'intercessione della figlia del capo Uzita. Infatti, la traduzione inglese del resoconto di De Soto comparve a Londra nel 1609, diversi anni prima dei racconti di John Smith. Un altro particolare contribuisce a rendere meno verosimile la storia la storia di Smith: costui all'epoca aveva sui 27 anni, mentre Pocahontas tra i nove e gli undici. Non solo. Pare che Smith rubasse agli indiani, e solamente perché questi erano alleati degli inglesi della colonia di Jamestown non gli andò peggio. Niente di strano che sia stato proprio lui a suggerire, come vedremo, il rapimento di Pocahontas. Questa, intanto, a 14 anni si era sposata col fratello del capo degli Japasaw, Kocom. I due ebbero una bambina. Ma le indiane, specialmente d'estate, usavano andare a giro nude, cosa che creava attriti con gli inglesi, che a ogni occasione allungavano le mani.
Gli indiani erano decisi a vendicare le loro donne, ma gli inglesi li prevennero rapendo Pocahontas, fresca di parto. La portarono su una delle loro navi e la rinchiusero nella stiva. Un tentativo di Kocom di liberarla finì tragicamente con la morte di quest'ultimo, ucciso sotto gli occhi della moglie. Lei, per il dolore, cominciò uno sciopero della fame. Preoccupati di perdere il prezioso ostaggio, gli inglesi permisero alla di lei sorella di venire ad assisterla. Pocahontas, rincuorata dalla presenza della congiunta, si riprese, accettò il
battesimo anglicano e il nome di Rebecca, e imparò velocemente la lingua. Forse fu la "sindrome di Stoccolma", chissà : a bordo rimase incinta. Di chi? Non si è mai saputo. Nel 1614 suo padre attaccò gli inglesi per liberarla, ma non ci riuscì. Sul terreno rimasero tanti morti da ambo le parti e Pocahontas-Rebecca, per tenere gli inglesi lontani dai suoi, decise di sottoporsi al trasferimento in Inghilterra, che i suoi sequestratori le chiedevano con insistenza. Infatti, erano ansiosi di mostrare a corte e al Paese la "principessa" indiana e acquisirne lustro.
Cosi, lei, la sorella e il bambino anglo-indiano Thomas salparono dopo cinque anni di prigionia. In Inghilterra ci fu il successo d'immagine che da lei ci si aspettava. Anzi, la sposarono con un certo John Rolfe, il quale dichiarò che il figlioletto di Pocahontas era suo. Non era vero, naturalmente, ma il Rolfe non vedeva l'ora di esibire in società la "principessa" indiana.
LA MORTE E IL DESTINO DEI FIGLI
Ormai ventunenne, ben vestita e acconciata all'inglese, padrona della lingua tanto da non sfigurare nei salotti, finalmente ottenne di poter tornare in Patria per riabbracciare i suoi cari. La corte era d'accordo e non si poteva mostrarsi senza cuore col pubblico. Cosi venne organizzata la pantomima del ritorno a casa. Innanzitutto, la nave scelta per il viaggio era, guarda un po', quella del capitano Samuel Argall, lo stesso che l'aveva tenuta prigioniera sulla medesima nave.
S'imbarcò, giustamente, anche il nuovo marito. Solo che una sera, mentre i tre erano a cena a bordo (non si sa se già salpati o in procinto di farlo) Pocahontas si sentì male. E in poche ore era morta. La versione fornita dai due uomini fu: tisi. Chi sa, invece, che la tisi è un male che dura molto a lungo, sospetta che la poveretta sia stata avvelenata da quei due, forse spaventati all'idea dell'accoglienza che avrebbero trovato presso i powhatan. Il corpo di Pocahontas e sepolto a Gravesend, nel Kent, e i film che abbiamo menzionato all'inizio hanno fatto alla tomba un'attrazione turistica. Il capo Wahunsenaca, saputo della fine della fine della sua "gioiosa" ne morì di crepacuore.
La tribù chiese più volte il corpo di quella sua sfortunata figlia, ma invano. Eh, i coloni inglesi non erano mica come i conquistadores spagnoli: questi non si muovevano senza cappellani francescani, mercedari, domenicani al seguito, e il loro re aveva preso precisi impegni evangelizzatori con il Papa. Tampinati dai missionari, i conquistadores dovettero sposare, regolarmente e con rito cattolico, le incas e le azteche. Da qui il meticciato sudamericano, a differenza del Nord, dove l'etnia indiana è quasi scomparsa.
Insomma, nelle zone spagnole una vicenda come quella di Pocahontas non sarebbe stata permessa. Andò leggermente meglio al piccolo Thomas, del quale il presunto padre John Rolfe fece presto a sbarazzarsi, affibbiandolo al fratello Henry. Thomas aveva solo cinque anni e Henry fu costretto a trascinare John in tribunale perché quello si rifiutava perfino di contribuire agli alimenti. Alla morte di John e poi di Henry, Thomas si ritrovò erede di certe terre in Virginia. Ci andò, ma non incontrò mai l'altro figlio di sua madre, rimasto con gli indiani. Quando mori anche lui, sulla tomba scrissero solo, oltre al nome, «figlio di Pocahontas». E fu tutto.
31 DEC 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8021
STORIA DI MARIA: BOCCIATO! SAREBBE BASTATO SEGUIRE IL VANGELOÂ di Rino Cammilleri
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Tutti i più famosi registi americani hanno voluto dire la loro sui seguenti temi: fantascienza, horror, Vietnam, sesso. In una specie di gara al grido di "mo' vi faccio vedere io come si fa". Qualcuno ha prodotto capolavori, i più ciofeche. Vabbè. Ma c'è un tema su cui anche i non famosi, cioè quasi tutti, si cimentano: i Vangeli. Da una parte la cosa potrebbe far piacere, perché denota una certa qual nostalgia anche da parte degli atei che, nemmeno loro, non possono non dirsi cristiani perché anche la stessa possibilità di professare l'ateismo senza passare i guai viene dal cristianesimo. Dall'altra, però, questo continuo sfornare film su Gesù, Giuseppe e Maria (non tutti lo sanno, ma anche Christian Bale, "Batman", è stato Gesù) alla lunga stucca. Come le continue rivisitazioni di Francesco & Chiara.
L'ultimo nato del ricco filone è Storia di Maria, distribuito da Netflix e arricchito dalla presenza dell'ormai troppo vecchio Anthony Hopkins nei panni di Erode. Anticipo subito che l'unica cosa azzeccata è la scelta della protagonista, Noa Cohen, attrice israeliana dal nome squisitamente ebraico. Infatti, la Madonna era ebrea. Lo sviluppo della trama, poi, fa porre allo spettatore una domanda: ma perché tutti questi film si ostinano a non seguire pari pari il racconto evangelico, già di per sé avventuroso quanto basta? Macché, e giù con le varianti secondo l'estro, di solito dettate dal politicamente corretto del momento. E pure a questo Storia di Maria (nell'originale semplicemente Mary) l'idea che, essendo immune dal Peccato Originale, Maria abbia figliato in tutta serenità non riesce ad essere contemplata. Boh, chissà che consulenti ha utilizzato, forse teologi à la page.
Ebbene, nel film Maria e Giuseppe non trovano alloggio a Betlemme perché la città è intasata da quanti sono venuti perché sanno che lì deve nascere il Messia. Cosa che non sapeva nemmeno Erode. Boh. Il censimento romano? Nessuna traccia. Tiremm innanz. L'arcangelo Gabriele si presenta subito. A chi? A Gioacchino, disperato per non avere figli. A lui annuncia la nascita di Maria. Ma l'attore scelto per fare l'angelo ha un viso bruttino e inquietante. Invece, quello che fa Lucifero è bello. Ri-boh. Tra l'altro, Giuseppe, per difendere la moglie rapita da Lucifero, trafigge quest'ultimo con una spada. Vabbe', licenze poetiche. Ma a Giuseppe nessun angelo spiega come mai la sua fidanzata sia incinta. Se la tiene lo stesso, sì, solo perché ne è innamorato, e senza alcuna curiosità su chi sia il padre del nascituro. Per quanto riguarda il premio Oscar Erode, questi, tra una gigionata e l'altra, manda a uccidere tutti i bambini di Betlemme, tranne i neonati, che si fa portare al suo cospetto per vedere qual sia il Messia. Naturalmente non riesce a distinguere il Prescelto e viene praticamente ucciso da Gabriele.
Le scene di massa, al solito, sono girate in Marocco, e si vedono chiaramente facce maghrebine che lo spettatore è invitato a considerare ebree. Potremmo continuare con le incongruenze & ingenuità , ma ci sentiamo di invitare i registi a, per una volta, seguire il racconto evangelico senza aggiunte e/o varianti. Il risultato sarebbe molto migliore, come ha mostrato Mel Gibson. Tutto il resto, come direbbe Califano, è noia.
24 DEC 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=8008
DAI FILM CON ELVIS PRESLEY A MONACA DI CLAUSURAÂ da Sito Grazie Elvis
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Molti anni fa un'attrice di Hollywood molto richiesta, Dolores Hart, ha scioccato il mondo dello spettacolo quando ha rinunciato a tutto per diventare una suora cattolica benedettina di clausura. Ha lasciato la sua carriera, ha rotto il suo fidanzamento con l'imprenditore di Los Angeles Don Robinson ed ha seguito la sua vocazione di suora.
Dolores Hart, il cui vero nome è Dolores Hicks, è nata il 20 ottobre 1938 a Chicago, in Illinois. Dolores è l'unica figlia di Bert e Harriett Hicks. È anche la nipote acquisita, tramite il matrimonio di una zia, del cantante Mario Lanza.
Usando il nome d'arte di "Dolores Hart", nel 1956 è stata scelta per interpretare un ruolo di supporto nel film del 1957 "Loving You", in cui ha lavorato con Elvis Presley.
Dopo questa partecipazione, Dolores si è trovata con molte richiesta di lavoro ed ha fatto altri due film, prima di recitare di nuovo con Elvis Presley in "King Creole" del 1958.
Ha poi debuttato a Broadway, vincendo un Theatre World Award nel 1959 e una nomination al Tony Award come migliore attrice protagonista per il suo ruolo in "The Pleasure of His Company".
Nel 1960, Dolores ha recitato in "Where the Boys Are", una commedia per adolescenti, Â in cui si parlava di studenti universitari durante le vacanze di primavera. Il film ha avuto un seguito tale da divenire quasi un cult.
Dolores Hart ha continuato a recitare in altri quattro film, incluso il ruolo principale in "Lisa", basato su un romanzo di Jan de Hartog e nominato al Golden Globe come "Miglior film drammatico".
Era considerata una delle stelle nascenti di Hollywood ed è stata scelta per ruoli in "Wild Is The Wind", "The Plunderers", "Francesco D'Assisi", "Sail A Crooked Ship" e "Lonelyhearts" con Montgomery Clift. Il suo ultimo ruolo è stato al fianco di Hugh O'Brian nel film "Come Fly With Me" del 1963 .
A questo punto ha deciso di lasciare il mondo del cinema e, dopo aver rotto il fidanzamento con l'imprenditore di Los Angeles Don Robinson, l'attrice venticinquenne è diventata suora cattolica presso l'Abbazia Benedettina di Regina Laudis a Betlemme, nel Connecticut, diventando, in seguito, priora del convento.
Quando ha ricevuto la chiamata dagli Studios della Paramount?
Nel bel mezzo di una lezione, a Marymount, ho ricevuto una chiamata dagli studi della Paramount! Era il produttore associato di Hal Wallis e voleva che andassi alla Paramount per un incontro. L'insegnante non voleva che rispondessi alla chiamata, pensava fosse una farsa, ma ho risposto.
Volevano incontrarmi quel pomeriggio, mi sembra entro una mezz'ora, alla Paramount. In realtà , anch'io volevo incontrarli. Il mio amico, Don Barbeau, è venuto a prendermi con un carro funebre del 1938. Ero vestita con un maglione e calzini e sono andata dal signor Hal Wallis.
Mi ha chiesto: "Cosa vuoi fare della tua vita?".
Ho risposto subito ed ho detto: "Voglio fare l'attrice".
"Stiamo girando un film con il signor Presley e vogliamo che inizi la prossima settimana".
Non sapevo nemmeno chi fosse Elvis Presley, ma la settimana successiva c'erano gli esami finali a scuola.
Ho detto: "Deve essere la prossima settimana?".
La sua risposta: "Sì, lo fa!"
Madre Gabriel, la decana delle ragazze, è venuta a trovarmi e mi ha detto: "I ragazzi della scuola di recitazione vorrebbero un'opportunità come quella che sta capitando a te. Dolores questa è quella giusta! Accettala!".
Ho detto: "Va bene, va bene!".
Ho seguito il suo consiglio, ho fatto il provino ed ho ottenuto la parte.
Il cameraman ha chiesto: "Signorina Hart, chi le ha insegnato la tecnica della recitazione? Dove andava a scuola?".
"Non sono mai andato a scuola per queste cose".
E lui ha risposto: "Sicuramente sa cosa fare".
Alla fine la chiamata è arrivata ed ho iniziato le riprese con il signor Presley. Ho incontrato Wallie Westmore per il trucco e Edith Head per disegnare il mio guardaroba per il film "Loving You".
So che suoni il clarinetto. Hai suonato il clarinetto per Elvis?
Beh, due anni dopo, ho fatto un altro film con Elvis Presley. Jan Shepherd ha interpretato la sorella di Elvis nel film.
Il giorno del suo compleanno abbiamo fatto una festa per lei a casa mia.
Elvis è venuto alla festa di compleanno. Ho suonato il clarinetto ed Elvis si è seduto ed ha suonato il piano. Abbiamo suonato alcuni brani per il compleanno di Jan. Era un vero gentiluomo, un distillato di semplicità , umorismo e timidezza. A quel tempo era proprio se stesso.
Mentre stavamo girando "King Creole", aveva così tante persone che lo seguivano, che non potevi camminare per le strade di New Orleans. Era come un circo. Non crederesti alle folle.
I poliziotti erano ovunque. Dovevamo stare nelle camere d'albergo ad aspettare tra una scena e l'altra.
Quando finalmente siamo arrivati sul posto, siamo stati accompagnati all'ascensore ed alle camere dell'hotel. C'erano delle tavole tra un hotel e l'altro. Le abbiamo attraversate per andare in un altro albergo, siamo scesi con l'ascensore e siamo entrati in un'altra stanza.
Ci hanno portato dei panini. Elvis ha aperto la Bibbia di Gideon, poiché quella era la versione collocata nelle stanze dell'hotel. Qualunque passaggio avesse aperto, ne avremmo parlato.
Mi chiedeva: "Cosa ne pensi di questo passaggio?"
Com'è successo che hai visitato l'Abbazia?
Nel 1959 stavo recitando a New York "The Pleasure of His Company". Un'amica mi ha invitata ad incontrare alcune suore ed ha detto: "Sono molto speciali".
Ho esclamato: "SUORE! No, non voglio incontrare le suore!".
Ma la mia amica ha detto: "Ti ho mai guidato nel modo sbagliato?" ed io ho detto "No".
Così sono venuta a Regina Laudis dopo poche ore ed è arrivata la chiamata definitiva. Ti senti in un posto speciale.
Dopo la prima visita, continuavo a tornare tra gli spettacoli. Alla fine ho chiesto alla Reverenda Madre se pensava che avessi una vocazione.
Lei ha detto: "No, no. Torna indietro e fai il tuo film. Sei troppo giovane".
L'ho fatto, e poi ho fatto altri film: "Where the Boys Are" e "San Francesco d'Assisi", che mi ha portato a Roma.
Ho incontrato Papa Giovanni XXIII ed è stato molto determinante nell'aiutarmi a formare le mie idee su una vocazione. Quando sono stata presentato al Papa, ho detto: "Sono Dolores Hart, l'attrice che interpreta Chiara".
Ha detto: "No, tu sei Chiara!".
Pensando che mi avesse frainteso, ho detto: "No, io sono Dolores Hart, un'attrice che interpreta Chiara".
Papa Giovanni XXIII mi ha guardato dritto negli occhi ed ha affermato: "No. Sei Chiara!"
La sua dichiarazione mi è rimasta impressa e mi è risuonata nella mente molte volte.
Reverenda madre, potrebbe parlarci del suo fidanzamento prima di entrare nell'Abbazia?
Un'esperienza meravigliosa per me e Don Robison. Lui aveva la sensazione che potessi avere una vocazione. Voleva provare il fidanzamento: "Facciamo un tentativo".
Sono passati diversi giorni e stavamo guidando lungo la strada, quando ha fermato la macchina. Lui ha detto: "C'è qualcosa non va. Mi ami?".
"Certo, ti amo".
L'ha chiesto di nuovo e poi ha detto: "Qualcosa dentro di te non è con me".
Quando sono tornata a casa all'una di notte, ho chiamato ed ho prenotato un volo per le 6.00 del mattino per Regina Laudis.
Dio è lontano da tutti noi finché non entriamo nella realtà di noi stessi. Alla fine, sono arrivata a dire nel mio cuore più di ogni altra cosa e poi apertamente a me stessa: "La mia ricerca di Dio è stata una ricerca coniugale". [...]
13 NOV 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7973
PARTHENOPE, IL FILM DI SORRENTINO CHE OFFENDE NAPOLI E LA CHIESAÂ di Rosa Benigno
È un grave e dolorosissimo oltraggio quello che Paolo Sorrentino ha inferto ai credenti con il suo film Parthenope. E lo porrà nella storia per avere attaccato alla "sua Napoli" una ulteriore etichetta negativa, del tutto gratuita e ingiusta su quanto di più caro hanno i partenopei: il rispetto e la devozione per san Gennaro, patrono della città .
Sono i numeri del botteghino a condizionare le recensioni dei film. E Parthenope non fa eccezione. È un meccanismo che alimenta sé stesso, portando a milioni di euro l'incasso di questa pellicola. Eppure, per i suoi contenuti osceni, ci sono spettatori che abbandonano il cinema tra il primo e il secondo tempo, ma questo non viene raccontato per non innescare un'inversione di tendenza.
Il trailer dell'autore di La Grande Bellezza dedicato a Roma, ma definito dai romani «decadente e torbido», rinvia a panorami e colori di Napoli che aprono il cuore grazie ad accesi toni d'azzurro tra cielo e mare, ma rimanda anche al buio dell'anima dello stesso regista che non ha modificato affatto il suo stile «decadente e torbido», appunto.
L'orrido prodotto che ha confezionato per attrarre pubblico, e che arriverà anche all'estero, è una Napoli – simbolicamente interpretata dalla protagonista Parthenope (Celeste Dalla Porta) – immersa nella lussuria, nell'edonismo e nella corruzione che raggiungono il culmine nella rappresentazione blasfema del "miracolo di San Gennaro", della fede dei partenopei nel Santo protettore, e del pastore che li guida: il cardinale Tesorone (Peppe Lanzetta). Nel film, l'anziano presule che attraversa le navate vestito solo di un ridotto slip di colore porpora, è una figura lasciva e profanatrice dell'altare, della reliquia del sangue di san Gennaro e dei gioielli del Tesoro. Negli ambienti, che richiamano alla memoria il Duomo di Napoli, si consuma una scena di erotismo disgustosa, con la giovane Parthenope addobbata degli oggetti sacri del Tesoro di san Gennaro. Nel film, il cardinale Tesorone viene definito "Satana".
IL "GENIO" SORRENTINO
Il clima conformista di acquiescenza al film è stato rotto dalla critica senza nessuna reverenza nei confronti del "genio Sorrentino", dal sacerdote Franco Rapullino, parroco di San Giuseppe a Chiaia che, sul quotidiano ROMA, ha definito il film «una raffigurazione offensiva del miracolo», scagliandosi contro il regista: «Non ha diritto di essere così blasfemo… un cardinale profanatore che ha reso disgustoso quanto è di più caro ai napoletani, rendendoli grotteschi nella fede che invece è autentica».
Questa ferma voce di ribellione al pensiero unico dominante ha avuto il merito di spingere - anche se ancora cautamente per il condizionamento laicista - altri media a denunciare il contenuto oltraggioso del film, che era stato nascosto dai critici nell'anteprima al Festival di Cannes. Si dirà : perché l'arte non va censurata. E, invece, una operazione-verità è doverosa. Se non altro nel rispetto di chi ha una sensibilità religiosa.
Nel simbolismo che si pretende attribuire al film, la ragazza Parthenope rappresenterebbe Napoli e, nelle sue esperienze vivrebbe le emozioni che Sorrentino conserva e comunica attraverso la macchina da presa.
Due le operazioni che Sorrentino fa in Parthenope: una estetizzante, con inquadrature estive del Golfo di Napoli, scogliere luminose, ville sul mare e interni barocchi. Cattura con l'obiettivo angoli di per sé incantevoli nei quali gli va riconosciuta la maestria dei professionisti della pubblicità , abili in giochi di luci, slow-motion, scene grandangolari, ombre, con le quali guadagna il consenso del pubblico, in un itinerario ipnotico. Reso docile l'osservatore con l'incantesimo delle immagini-spot, Sorrentino gli somministra allusioni e a volte scene esplicite di incesto (il fratello di Parthenope che desidera da sempre la sorella, fino al suicidio), poliamore, desideri e fantasie omosessuali, rapporti saffici, aborto, e l'amplesso pubblico di due ragazzi dai volti innocenti e spaventati, obbligati a unirsi carnalmente su un tavolo da biliardo, sotto lo sguardo di due improbabili famiglie camorristiche e di un prete, che assistono al "rito" come suggello della pax criminale.
LE "SCUSE" DI SORRENTINO
Infine, l'incontro tra Parthenope e il Cardinale Tesorone. Lei è una antropologa e ricercatrice che intende studiare il miracolo di san Gennaro. L'orrendo e lascivo cardinale appare al centro di una navata, semisvestito, intento a tingersi i capelli, per prepararsi alla celebrazione religiosa della liquefazione del sangue del Santo. Le donne del popolo pregano e sudano, si sventagliano e soffrono in una Cattedrale sovraffollata e soffocante. Il miracolo non avviene, ma una donna in menopausa comincia a sanguinare, urlando che il miracolo è avvenuto e lei stessa lo rappresenta. Il Cardinale Tesorone si arrabbia perché quella scena aveva distolto i fedeli dall'adorazione rivolta alla sua persona. Quindi, Parthenope chiede di vedere il Tesoro di san Gennaro e lui acconsente, ma prima le chiede di accompagnarlo a una festa mondana, dove lui fuma e gode della riverenza dei presenti. Infine c'è la scena di Parthenope addobbata dei gioielli del Tesoro di San Gennaro: sul capo la mitra, il manto che fa scivolare dalle spalle mostrando la croce di smeraldi e zaffiri, la collana che le copre in parte i seni, orecchini voluminosi e il resto di voluminosi gioielli a coprire al minimo il corpo nudo. Un letto fuoriesce dall'altare e qui la ragazza si concede all'uomo. La telecamera si allontana lasciando sullo sfondo i due protagonisti mentre riprende in primo piano l'ampolla con il sangue di San Gennaro che "osserva" la scena e "reagisce" cominciando a liquefarsi. Ognuno è libero di interpretare questi fotogrammi.
In un incontro con il pubblico, consapevole di avere offeso la sensibilità del mondo cattolico, Sorrentino ha tentato di difendersi, affermando di non avere messo alcuna etichetta al miracolo di san Gennaro perché la Chiesa «è troppo intelligente per criticare la sua opera» e ha chiesto di guardare e giudicare il suo film «senza pregiudizi». Ma forse voleva dire in modo acritico. Ha parlato del "miracolo di San Gennaro" come di «un rito»– né più né meno di quello che lui inscena tra le famiglie camorristiche del film – perciò privo di qualsiasi valore spirituale e sacro. Ha descritto la protagonista come una semplice ragazza che attraversa varie esperienze di vita. Il fatto è che Parthenope lo fa talvolta con punte di commozione, ma il più delle volte con un sorriso beota che è forse quello che Sorrentino vorrebbe vedere impresso sui volti di chi ha pagato il biglietto per assistere al suo film.
LE REAZIONI
Dopo la scena di sesso con il cardinale, Parthenope si presenta al suo professore universitario, Marotta (Silvio Orlando), una figura paterna che nasconde nel proprio intimo un grande dolore per un figlio disabile che tiene nascosto, e che decide di mostrare solo alla ragazza. Appare quindi un gigante seminudo, a metà tra un neonato e un adulto, obeso e dall'umorismo infantile, fatto «di acqua e sale, come il mare», dice Marotta. Si potrebbe pensare che Napoli - nell'immaginario di Sorrentino - è più aderente a questa irrealistica creatura-mostro che la giovane e spregiudicata ragazza narrata.
Nell'incontro con il pubblico, il regista non ha voluto spiegare nulla del simbolismo inserito nel film. Come ha scritto il critico Peter Bradshaw, che ha stroncato "Parthenope" su "The Guardian", si assiste a «due ore di pubblicità di un'acqua di colonia incredibilmente costosa».
Silenzio totale da parte dell'Arcivescovo di Napoli, Monsignor Domenico Battaglia, (appena nominato Cardinale) sulla inaccettabile blasfemia nei confronti del culto a san Gennaro e del miracolo della liquefazione del sangue.
«Disgusto e schifo», invece ha espresso don Franco Rapullino, Parroco di San Giuseppe a Chiaia a Napoli in una intervista al ROMA: «Sorrentino non ha diritto a essere così blasfemo - ha affermato il parroco - la satira è una cosa, ma a San Gennaro tutti tengono e in quelle scene in cui inserisce un Cardinale profanatore ha reso disgustoso quanto è di più caro ai napoletani. Rendendoli grotteschi nella fede che invece è autentica. Napoli è migliore di quella che lui ha messo in quel film. Niente di quel film si può apprezzare: sembra che tutto a Napoli ruoti incontro al potere, all'ambizione, al sesso e al denaro. Mi ha fatto proprio schifo. E quanto alla presenza e alla funzione della Chiesa, va detto che quella che andrà in giro per il mondo con le immagini del film Parthenope è solo una grande e deleteria menzogna. Perché questo regista non ne sa niente della vera religiosità ». [...]
21 AUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7888
LA VITA DI FERNANDEL, L'ATTORE CHE HA INTERPRETATO DON CAMILLO PER IL CINEMAÂ di Samuele Pinna
Scrivevo nel mio A dottrina con don Camillo come il protagonista di Mondo piccolo sia «una delle figure letterarie contemporanee più amate: è capace di indossare - è il caso di dirlo - i panni del sacerdote che tutti vorrebbero ed è anche in grado di trasmettere profondi insegnamenti». Al successo letterario dei racconti di Giovannino Guareschi è seguito quello cinematografico, grazie anche all'interpretazione magistrale di Fernandel. Non si può pensare al personaggio guareschiano senza immaginarsi il volto tanto caratteristico del comico francese.
La vita di questo straordinario attore è stata messa nero su bianco dal giornalista Fulvio Fulvi, a cui chiedo immediatamente da dove sia nata l'idea di stilare la biografia intitolata Il vero volto di don Camillo. Vita & storie di Fernandel (Ares).
«È stato concepito partendo da una mia curiosità personale: chi era quel simpaticone di Fernandel? Sapevo che era un attore francese dal sorriso largo, e basta. Un bravissimo don Camillo che sapeva portare bene la tonaca e rendeva sullo schermo il personaggio che avevo conosciuto leggendo da ragazzo i racconti di Guareschi. Ricordo gli spot su carosello in cui pubblicizzava un famoso cognac insieme a Gino Cervi... Mi occupo sin da giovane di cinema, la mia grande passione, e allora ho cercato di saperne di più procurandomi quei film che lui aveva interpretato e che in Italia erano poco conosciuti. Poi, volendo approfondire, mi sono accorto che non esisteva nessuna biografia di Fernandel edita in Italia. E così mi sono messo a scriverla io...».
Ragiono: la popolarità per Fernandel diventa ancor più grande grazie alla personificazione del parroco della Bassa, sebbene fosse un artista già affermato in Francia quando fu scelto per quel ruolo.
«Sì - mi viene confermato -, era già popolarissimo per aver interpretato circa 120 film nel suo Paese, fu scoperto da un intellettuale della Provenza, la sua regione, Marcel Pagnol, scrittore e drammaturgo: fu lui a lanciarlo nel mondo del cinema. Ma Fernandel, cioè, all'anagrafe del Comune di Marsiglia, Fernand-Joseph-Désiré Contandin, aveva cominciato con le macchiette del "vaudeville", in una piccola compagnia teatrale con il padre e il fratello, girando con un camioncino i teatrini della Provenza. È stato il regista Julian Duvivier a volerlo come don Camillo nel primo film, uscito nel 1951».
È risaputo che a Guareschi inizialmente Fernandel non piaceva, ma poi ha ceduto davanti alla sua bravura. Desidero conoscere ancora qualcosa del pretone dalle mani grosse come badili.
«Don Camillo dal punto di vista letterario è un personaggio complesso, un esempio di sacerdote che ama il popolo e per la sua gente si impegna, mettendoci la faccia... Uno che ama il Crocifisso e ha consapevolezza di esserne un testimone, nonostante il carattere irascibile e un po' burbero. I film della saga guareschiana tendono a semplificare però certi aspetti presenti nell'opera dello scrittore di Roccabianca. Ma ne restituiscono la sostanza. In ogni caso, secondo me, don Camillo viene fuori così com'è, un pastore in mezzo al suo gregge, anche perché esiste Peppone, l'amico-antagonista, il sindaco comunista che trova proprio nell'autentica passione per la sua gente un punto di incontro con il parroco attaccabrighe, nonostante la distanza ideologica. Personaggi "consustanziali": non è possibile capire don Camillo senza Peppone. E viceversa».
A Fernandel i panni del sacerdote cascano a pennello, tanto che si racconta che sia stato scambiato più volte per un vero ministro di culto.
«Sì, parlando con i cittadini più anziani di Brescello, il paese emiliano dove sono stati girati i film, sono venuto a conoscenza di tanti aneddoti divertenti. Fernandel, nelle pause del lavoro, andava in giro per le vie con gli abiti di scena. Non si toglieva mai la tonaca e un giorno accadde che una bambina lo fermò chiedendogli di benedire la sua bambola. Lui cercò di convincerla che non era un prete vero, ma lei insistette e lui la accontentò. Il figlio del sagrestano della chiesa di Brescello mi ha raccontato che Fernandel dopo pranzo usava fare una pennichella e chiedeva di stendersi sul divano della canonica per una mezzoretta prima di ritornare sul set. In cambio ripagava con qualche banconota proprio il figlio del sacrista, che spesso faceva anche da staffetta tra l'attore e il regista portando messaggi all'uno e all'altro. Riceveva molte lettere dagli spettatori che lo trattavano come un vero prete. Ma nel mio libro si raccontano tanti episodi del genere».
Incalzo. C'è stato un incontro importante, quello con Pio XII.
«Papa Pacelli si era fatto proiettare in una saletta privata in Vaticano il primo film su Don Camillo, ne rimase colpito e chiese di incontrare l'attore. "Voglio conoscere il prete più celebre al mondo dopo di me", disse ai suoi collaboratori. Così accadde che un giorno, mentre Fernandel si trovava a Roma con la figlia, fu raggiunto da due "camerieri" di Sua Santità che lo invitarono il giorno dopo a un rendez-vous con il Pontefice. L'attore ne rimase stupito e, da cattolico com'era, si commosse. Nel mio libro racconto quel momento, grazie anche alla descrizione che lui stesso ne fece in un'intervista pubblicata su una rivista francese dell'epoca».
Non possono non domandare se Fernandel sia stato un uomo di fede.
«Fernand Contandin era un convinto cattolico, ebbe un'educazione religiosa, tanto che quando gli fecero leggere il copione del primo film, stava quasi per rinunciare alla parte perché, come si sa, ci sono dei brani - a mio avviso i più "decisivi" del personaggio - in cui don Camillo parla con il Crocifisso e Lui gli risponde. Pensava che fosse una cosa blasfema, ma poi si accorse che non era così...».
La religiosità - se è vera - s'incarna nel quotidiano, e pertanto voglio sapere qualcosa della sua vita privata.
«Fernandel è stato un marito fedele per tutta la vita (è stato sposato con Henriette per 46 anni) e padre di tre figli, due femmine e un maschio, Franck, anche lui attore (anche se di scarso successo). Con i figli era amorevole ma severo. E aveva un rapporto idilliaco con la suocera: fu lei infatti a dargli il nome d'arte Fernandel perché quando, da fidanzato, andava a trovare la sua Henriette, la mamma di lei lo presentava dicendo: "Et voilà , le Fernand d'elle!" ("Ecco il suo Fernando"). Da cui, appunto... Fernandel. Geniale no?».
Del resto, il genio si è mostrato anche nella sua lunga carriera che non si può ridurre ai soli lungometraggi su Don Camillo (basti pensare al film con Totò, due maschere all'epoca amatissime nei rispettivi paesi d'origine).
«Fernandel al cinema interpretava soprattutto personaggi bonari che rispecchiavano la sua naturale simpatia. Indubbiamente anche la faccia, dall'impronta cavallina, e la risata, influivano sulla caratterizzazione. Ma nella sua lunga carriera è stato protagonista anche con ruoli drammatici in film più o meno "impegnati". Senza contare il gendarme di La legge è legge, con Totò, del 1957 di Christian-Jaque, i più important, tra quelli che hanno avuto un'eco anche da noi, secondo me, sono stati il commesso viaggiatore Casimir nell'omonimo film di Pottier del 1950, Topaze di Marcel Pagnol, dello stesso anno e, dopo l'esordio nei panni del parroco guareschiano, Il nemico pubblico n. 1 di Henri Verneuil del 1953, La Vacca e il prigioniero di Verneuil del 1959, dove interpreta un militare francese catturato dai tedeschi e mandato a fare il contadino in una fattoria della Germania, Il giudizio universale di Vittorio De Sica, del 1961, Le tentazioni quotidiane di Duvivier, uscito l'anno successivo... Ma l'elenco potrebbe continuare!».
Saluto il noto articolista di Avvenire con un ultimo quesito: quale messaggio lascia in eredità la persona di Fernandel?
«Il messaggio che a mio giudizio ci ha lasciato questo grande attore è innanzitutto di una giovialità mai banale, una grande simpatia umana, un raro rigore professionale (morì praticamente sul set, mentre girava l'ultimo film della saga, Don Camillo e i giovani d'oggi: stava male ma volle lavorare ugualmente, svenne durante le riprese e pochi giorni dopo spirò nella sua casa di Parigi). Un'altra dote (un insegnamento da cui si dovrebbe imparare) è la capacita di essere un buon amico: così è stato con Gino Cervi, Jean Gabin, lo stesso Pagnol che lo lanciò come attore cinematografico. Era un uomo retto che aveva un senso del dovere e un amore per la famiglia. E noi spettatori "incalliti" dei film di Don Camillo, che non ci perdiamo mai una replica quando vengono riproposti in televisione, ce lo vogliamo ricordare sempre così, in tonaca, con la bicicletta, che parla con il Crocifisso (il quale gli risponde e "corrisponde") e litiga amorevolmente col compagno Peppone, che non era nemmeno tanto diverso da lui».
9 JUL 2024 · VIDEO: trailer e recensione ➜ https://www.youtube.com/watch?v=wg5gOtK0drY
TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7848
UNA NUOVA GUERRA CIVILE IN AMERICA E' POSSIBILEÂ di Stefano Magni
"Civil War" di Alex Garland è un film che ha iniziato a far parlare molto di sé e a destare sospetti fin dalla diffusione del suo primo trailer, a dicembre. In un momento in cui tutto è complotto, è ovviamente nata una teoria della cospirazione anche su questa pellicola prodotta da A24. La tesi? Che il governo, d'accordo con Hollywood, stia preparando psicologicamente la popolazione alla guerra civile.
Come si vede sin dalle premesse, fantasia e realtà si sovrappongono perfettamente in questa epoca turbolenta, di massima polarizzazione dell'opinione pubblica americana e alla vigilia di uno dei voti più difficili di sempre. E quindi, complotto o no, sicuramente "Civil War" è il film giusto uscito al momento giusto.
Ma di che cosa parla "Civil War" e perché colpisce così tanto? È la storia di una giornalista veterana, Lee (interpretata dalla sempre più brava e sottovalutata Kirsten Dunst) che, al culmine di una seconda guerra civile americana, capisce che il presidente sta perdendo, nonostante tutta l'informazione ufficiale dica il contrario. E quindi vuole fargli un'ultima foto da vivo e un'ultima intervista.
Nonostante gli aerei non volino e tutte le autostrade siano chiuse, si imbarca in un difficile on the road, per raggiungere una Washington già assediata. E per farlo recluta uno spericolato corrispondente della Reuters (Wagner Moura), suo compagno di tante avventure. Che però, a sua volta, decide di portare con sé anche un anziano e saggio reporter di guerra (Stephen McKinley Henderson) e una ragazza impaziente, e anche un po' tanto invadente, che vuole diventare fotoreporter (Cailee Spaeny).
UN REPORTAGE DI GUERRA
Si tratta, dunque, di un film su un reportage di guerra che ricorda molto alcuni classici del genere, come "Un anno vissuto pericolosamente", "Sotto tiro", "Salvador" e "Urla nel silenzio". I quattro personaggi rappresentano quattro modi diversi di fare giornalismo. Lee è depressa, non tanto perché, nella sua carriera, ha visto cose che noi umani nemmeno immaginiamo, ma perché ritiene di aver fallito nella sua missione: "Ad ogni scatto di guerra, io vi dicevo: non fatelo". E invece il suo stesso Paese è precipitato nell'abisso della violenza che lei aveva visto e documentato nel resto del mondo.
Attraverso Lee, il regista Garland vuole veicolare un messaggio forte e chiaro: potrebbe succedere anche qui. L'intento è esattamente quello del romanzo di Sinclair Lewis "Qui non è possibile" (1935) dove lo scrittore si immaginava come anche gli Usa potessero diventare una dittatura, mentre fascismo, comunismo e nazismo già dominavano in Europa.
Negli Usa, negli anni '30, si ritenevano immuni da quel pericolo. Ma non lo erano. Le stesse tendenze, diffuse in Europa a sostegno delle dittature, erano presenti anche negli Usa e una dittatura sarebbe stata possibile, se solo fosse emerso l'uomo sbagliato al momento giusto. Gli Usa, da un secolo e mezzo, si ritengono immuni dalla guerra civile e sono lontani fisicamente da tutte le guerre. E invece...
Per mostrare a cosa gli americani andrebbero incontro, in caso di guerra civile, Garland adotta uno stile quasi documentaristico, benché ritragga uno scenario di fantapolitica. Già la prima scena di guerra che vediamo, una scaramuccia fra governativi e Boogaloo Boys è di un realismo disturbante.
In guerra emergono i caratteri peggiori, sadici ed estremisti hanno l'occasione per dare libero sfogo alle loro fantasie represse. E così abbiamo il benzinaio che tortura l'ex compagno di scuola perché è accusato di "sciacallaggio", il nazionalista che riempie le fosse comuni di "non americani", i fanatici che si trasformano in attentatori suicidi, le fucilazioni sommarie di prigionieri, ma anche regioni intere che vivono come se la guerra non esistesse. E che non vogliono neppure saperne di partecipare.
I NUOVI UNIONISTI E SECESSIONISTI
Ma da chi viene combattuta questa guerra e perché? Il regista ce lo lascia solo immaginare, ci dà pochissimi indizi. Innanzitutto ci racconta una guerra fra Stati, come la vecchia, unica vera Guerra Civile Americana del 1861-65. Per evitare una ripetizione troppo evidente, chiama le forze secessioniste "Ovest" (e il loro esercito è quello delle Western Forces). Ma in questo Ovest è compreso in realtà anche tutto il vecchio Sud, a partire dal Texas che, assieme alla California, ha dato vita alla nuova secessione, a cui ha aderito (forse, perché le notizie sono confuse) la Florida.
Già la scelta, non casuale, di mettere assieme Texas, Stato conservatore per eccellenza, con la California, epicentro del progressismo nel mondo, ci suggerisce che Garland non vuole parlarci dell'America di oggi, ma di un'America del futuro in cui la geografia politica è molto cambiata. E quindi ha cercato di evitare polemiche sterili fra conservatori e progressisti, nessuno dei quali si può identificare con i nuovi unionisti o con i futuri secessionisti (si riconoscono solo i Boogaloo, per le loro caratteristiche camicione hawaiane...).
Visto che la trama è ambientata a guerra inoltrata, le sue origini si apprendono solo in alcuni dialoghi fra i giornalisti e da indizi sparsi qua e là . È però assolutamente chiara la causa immediata del conflitto: un presidente che rischia di trasformarsi in dittatore. È un comandante in capo debole, insicuro, ma aggrappato al potere in modo ossessivo, un presidente che scioglie l'FBI, ma non esita a usare l'esercito contro le proteste civili.
E quando cerca di restare per un terzo mandato, allora gli Stati secedono. Non possiamo spoilerare nulla, non vi possiamo dire chi vince e chi perde, chi vive e chi muore, ma possiamo dirvi solo che all'origine della guerra c'è il caro vecchio principio di resistenza alla tirannide. Ed è questa l'America che ci piace, con buona pace dei complottisti.
20 MAR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7720
POVERE CREATURE: UN FILM OSCENO, CANDIDATO ALL'OSCARÂ di Ermes Dovico
«La violenza è mostrata in maniera ricorrente e/o significativa e/o morbosa con enfasi su dettagli come ferite, sangue, etc. e non è giustificata dal contesto narrativo. In particolare, la narrazione della violenza sessuale è esplicita, non coerente con il contesto. Particolare attenzione viene posta al potenziale di imitazione del comportamento mostrato (14+). Scene di sesso o riferimenti ad esso sono mostrati in maniera insistita ed esplicita (14+). L'uso di armi è insistito e non giustificato dal contesto. Particolare attenzione viene posta al potenziale di imitazione del comportamento mostrato (14+). L'uso di un linguaggio blasfemo/volgare è presente in maniera insistita e non giustificato dal contesto narrativo».
La scheda qui riportata è quella presente nel database del Ministero della Cultura - Direzione generale cinema e audiovisivo. E non riguarda un filmetto sconosciuto e da quattro soldi, bensì Povere Creature! (Poor Things), pellicola vincitrice dell'ultimo Leone d'oro e di diversi altri premi cinematografici, nonché candidata a ben 11 Oscar. Il film è diretto da Yorgos Lanthimos e ispirato all'omonimo romanzo di Alasdair Gray.
Al di là degli opposti giudizi che Povere Creature! ha fin qui suscitato - chi se ne dice estasiato, chi disgustato - le varie descrizioni concordano di fatto nel restituire il quadro di un film sostanzialmente pornografico, con una trama cupa tutta percorsa dal tema della liberazione sessuale. Da qui la serie di divieti e, in alcuni Paesi, anche di scene tagliate.
Basti dire che il divieto italiano per i minori di 14 anni è uno tra i più blandi al mondo. In diversi Paesi - dal Brasile al Giappone, dal Regno Unito alla Nuova Zelanda, da alcune regioni del Canada alla Corea del Sud - lo hanno proibito ai minori di 18 anni; a Singapore il divieto è innalzato fino ai 21. Negli Stati Uniti i minori di 17 anni possono vederlo solo se accompagnati da un genitore o un tutore adulto. La Motion Picture Association (Mpa), l'organizzazione che rappresenta i sei maggiori studi cinematografici statunitensi, gli dà appunto la classificazione "R" (la seconda, per gravità ), «per contenuti sessuali forti e pervasivi, nudità cruda, materiale inquietante, sangue e linguaggio [osceno]».
LA SCELTA GIUSTA È NON VEDERLO
Noi abbiamo scelto di non vederlo, per ragioni precise. Non si tratta qui di dover confutare, per esempio, un cartoon con contenuti ideologici oppure un film che presenta in maniera deformata un caso storico e, quindi, da vedere per metterne in luce le incongruenze e le omissioni rispetto alla storia stessa (vedi il film di Bellocchio sul caso Mortara già descritto sulla Bussola). Di un film di cui è nota, a tutte le latitudini, la connotazione pornografica, una persona normale non direbbe che "va visto, perché bisogna valutarne la trama". Trama che peraltro si può leggere ovunque, in primis nei siti specializzati di cinema.
Il punto è che quello che passa attraverso i nostri occhi e le nostre orecchie non è "neutro" per la nostra dimensione corporale e mentale, né tantomeno lo è per quella spirituale. Né è ragionevole credersi, come si suol dire, "adulti e vaccinati", rispetto a certe immagini, scene, suggestioni e discorsi vari, perché il fatto che la nostra società sia impregnata di tutto ciò e che se ne siano viste tante non ti dà alcuna garanzia di immunità acquisita, allo stesso modo di come uno può essere ormai assuefatto a una determinata droga ma quella droga tale rimane: e continua a far male, anche inavvertitamente. Non per nulla i santi - si veda ad esempio quanto riporta san Giovanni Bosco nella sua biografia su san Domenico Savio (pp. 34-35) - raccomandano la custodia degli occhi e degli altri sensi.
Qualche cenno alla trama. Nella Londra vittoriana, una donna incinta, oppressa da un marito dispotico, si suicida gettandosi da un ponte. Il suo corpo senza vita è raccolto, sulle rive del Tamigi, dal dottor Godwin Baxter, che la resuscita trapiantandole il cervello della creatura che portava in grembo. Lo scienziato pazzo le dà il nome di Bella Baxter, interpretata da Emma Stone. La donna, un corpo adulto con un cervello da bambina, è come una tabula rasa, che non sa nulla di sé e deve (re)imparare tutto, dal parlare al relazionarsi con gli altri. Mentre le sue abilità motorie progrediscono lentamente, viene detto che la sua mente progredisce velocemente.
PERVERSIONI SESSUALI DI OGNI TIPO
In questo contesto, in una varietà di situazioni, Bella inizia a scoprire la sua sessualità . Seguono scene di masturbazione femminile, rapporti sessuali e lesbici, sadomasochismo, prostituzione in un bordello, voyerismo, con un padre che assiste ad atti sessuali in compagnia dei suoi figli minorenni... Eccetera. In tutto questo, sottolineano alcune recensioni su IMDb (Internet Movie Database), rimane l'ambiguità sull'età mentale di Bella al suo primo rapporto, che avverrebbe in teoria verso i suoi 16 anni - con un uomo molto più grande di lei - ma con un'ingenuità di fondo che lascerebbe quantomeno dubbi sul suo reale consenso. Un'ambiguità a cui contribuisce, evidentemente, l'idea di partenza, cioè del cervello di un bambino in un corpo adulto. Al di là delle intenzioni degli autori, una simile ambiguità , in un romanzo e un film sulla "liberazione sessuale", evoca temi cari alle lobby che vogliono normalizzare la pedofilia.
Eppure, Bella cresce e - ci informa Sette, il settimanale del Corriere - «schiaccia il patriarcato e conquista la libertà », imparando a manipolare gli uomini e «usarli per i propri scopi». Ancora, «danza libera e furiosa, rifiuta la maternità perché vuole diventare medico». Piuttosto svilente, come idea di femminilità .
Non sorprende che a Sette piaccia la pellicola di Lanthimos, ma rimane un bel punto di domanda sull'entusiasmo del sito della Diocesi di Milano, che titola: "Povere creature! Il film simbolo della libertà ". Peccato che si tratti, come visto, di una libertà perversa. Il titolo, comunque, rispecchia la recensione-elogio, a firma di Gabriele Lingiardi, in cui non si capisce se la morale naturale conti ancora qualcosa e quale posto abbia l'anima in mezzo a tanta spazzatura: ma ammessa la confusione del singolo recensore, la Diocesi ambrosiana correggerà il tiro?
Anche in questo caso, come altre volte in passato, la Commissione nazionale valutazione film della Cei manca di dare un chiaro giudizio cattolico, capace di ben orientare le anime. Si limita a concludere che «per i temi e il linguaggio in campo, il film richiede un pubblico adulto», definendo lo stesso film, che pure mostra di apprezzare, «complesso, problematico, per dibattiti». Per dibattiti? San Paolo obietterebbe: «Di fornicazione e di ogni specie di impurità o di cupidigia neppure si parli fra voi - come deve essere tra santi - né di volgarità , insulsaggini, trivialità , che sono cose sconvenienti» (Ef 5,3-4). Starne alla larga.
6 MAR 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7719
IL FILM SULLA GUERRA IN UCRAINA CHE LA SINISTRA VUOLE CENSURARE di Paolo Becchi
In questi giorni ho visto un film, non in una sala cinematografica ma in una sala di un Circolo privato, alla presenza di un folto pubblico interessato. Il testimone, un dramma cinematografico, non un documentario sulla guerra in Ucraina. Diciamolo subito, per evitare fraintendimenti di ogni genere, lo scopo primario del film è evidente: rovesciare la narrazione ufficiale, quella diffusa da tutti gli organi di informazione sulla guerra. È dunque un film di parte. Come di parte è, del resto, l'informazione che sinora, per due anni, abbiamo avuto attraverso i nostri canali ufficiali d'informazione. Non si vede, però, perché abbia fatto così tanto scalpore l'idea che il film potesse essere proiettato. Offre un punto di vista diverso, colpisce, fa discutere.
In breve, la storia: un affermato violinista belga si trova a Kiev proprio quando inizia l'operazione militare dei russi. È accompagnato dalla sua assistente, che andrà incontro ad una brutta fine, mentre lui - pur dovendo sopportare umiliazioni e violenze di ogni genere -riesce a scamparla. Chi ha seguito le vicende reali, se le troverà raccontate da quello che, a tutti gli effetti, è "il testimone". Alla fine, il testimone di fronte ai mass media che vogliono convincerlo ad ammettere che è tutta colpa dei russi, non può far altro che testimoniare quello che ha visto. Lui, in fondo, è stato salvato alla fine proprio dai russi, e a commettere angherie verso di lui e i cittadini ucraini sono stati proprio i componenti del ben noto battaglione di Azov.
GLI ABITANTI DEL DONBASS
La cosa del film che più mi ha colpito è quando alcuni abitanti del Donbass continuano a parlare la loro lingua naturale, il russo, mentre le milizie del battaglione non ammettono l'uso di questa lingua, perché in Ucraina "esistono solo gli ucraini e i russi non devono parlare la loro lingua". Il film è girato in inglese, con il voice over in russo, sottotitolato in italiano. Le uniche parti che sono girate in russo o in ucraino sono quelle in cui parlano i militari ucraini. Non conosco il russo, ma ho avuto il piacere di vedere il film con una collega slavista che conosce russo e ucraino e la cosa che lei ha notato, seguendo il film ovviamente in russo, è che a tratti ai miliziani di Azov scappano intere frasi in russo, a testimoniare quanto questa lingua sia radicata in Ucraina, non solo in Donbass.
Ma come si fa negare ad una popolazione addirittura la possibilità di usare la propria lingua? Come si può usare violenza contro i propri cittadini solo perché parlano la lingua dei nonni e dei genitori? È come se noi in Italia, a Bolzano, vietatissimo l'uso della lingua tedesca. Ovviamente non è soltanto una questione di lingua, ma quello è il primo elemento con cui si identifica una popolazione. Se neghi quel diritto, neghi tutti gli altri, se non concedi autonomia, è evidente che prima o poi si arriva alla secessione. I russi vogliono stare con i russi e hanno diritto di stare con i russi. "Stare con chi si vuole e stare con chi ci vuole". In fondo si tratta del diritto dei popoli ad autodeterminarsi, ed è quel diritto che hanno rivendicato per anni gli abitanti del Donbass. Questo lo si dimentica spesso nella narrazione di questo conflitto e almeno questo risulta in maniera molto evidente dal film. Forse è il messaggio più "pericoloso" per cui hanno cercato di censurare quasi dovunque il film.
UN CONFLITTO TRA DUE VISIONI DEL MONDO
Certo, oggi quella guerra locale ha assunto una dimensione globale, che va molto al di là della narrazione del film. Ormai si tratta di un conflitto non più tra Russia e l'Ucraina per un territorio limitato abitato soprattutto da russi, ma di un conflitto tra due visioni del mondo, quella dell'anglosfera, dell'Occidente, che vuole ancora dominare il mondo e imporre tutto a tutti, e quella della Russia, che vorrebbe tentare la costruzione di un mondo multipolare, che rispetti le tradizioni e i diritti dei popoli. Lenin, di cui ricorre in questi giorni il centenario della morte, era riuscito a trasformare la guerra, la Prima guerra mondiale, in una rivoluzione, quella bolscevica, Putin sta ora cercando di trasformare la guerra attuale in un'altra rivoluzione, che porti a un mondo non più governato da un'unica potenza, ma in cui esistono più civiltà che possano convivere pacificamente.
Questa è la mia chiave interpretativa e ovviamente chi legge potrà contestare tutto quello che ho scritto. Su una cosa, tuttavia, mi dovrà dar ragione, vale a dire che non si vede proprio perché il film non dovrebbe essere proiettato. E invece il Sindaco di Firenze ha chiesto di annullare la proiezione perché il film "incita all'odio e al genocidio del popolo ucraino". Credo che il Sindaco dovrebbe vergognarsi per quello che ha scritto. Ho visto il film, è un film di parte, come ho scritto, e non è l'unico nella storia del cinema ad esserlo, ma non c'è traccia di odio nei confronti del popolo ucraino, che semmai viene considerato vittima esso stesso del regime che ora governa quel Paese. Non c'è, dunque, alcuna ragione per vietare la visione di questo film, al quale come a Genova seguirà un dibattito durante il quale il Sindaco potrà dire tutto quello che vuole. Questa è sana democrazia. Non si possono criticare presunti regimi autoritari e poi adoperare gli stessi metodi.
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