Fratelli Canicani
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Voce narrante Sandro Gino Volli recarmi di persona alla congregazione dell'Ospedale, nella sua seduta del 13 ottobre 1746, per annunciare la mia volontà di istituire, l'anno successivo, un letto da...
show moreVolli recarmi di persona alla congregazione dell'Ospedale, nella sua seduta del 13 ottobre 1746, per annunciare la mia volontà di istituire, l'anno successivo, un letto da incurabile, donando per esso la somma di Lire 5.000 e avendone avuto autorizzazione dal vescovo di Vercelli, Monsignor Gian Pietro Solaro. Sono Don Giuseppe Antonio Canicani, parroco della chiesa, non più esistente, di San Giacomo, che stava in fondo all'attuale via San Cristoforo, nei pressi del Parco Camana. Accanto a me, nel ritratto come nella vita, è Giovanni Nicola Bernardino, mio fratello di dieci anni maggiore di me. Era uno speziale, con casa e bottega sotto la Parrocchia di San Tommaso, chiesa che era collocata all'imbocco della piazza Maggiore, ora Cavour, sulla destra venendo dall'attuale corso Libertà. Nel testamento da me fatto nel 1743, avevo nominato Bernardino mio erede universale e avevo lasciato i beni della mia casa ai coniugi Anna Maria e Giovanni Enrico Bremio, perpetua e custode della mia chiesa, nonché fedeli assistenti anche nelle mie frequenti infermità. Quando mi recai alla congregazione dell'Ospedale, mio fratello però era morto da pochi mesi e da pochi giorni mi ero occupato io della vendita della licenza e della sua bottega di speziale. Dunque, nel novembre 1746, mentre ero a letto infermo, rifeci testamento. Nominai mia erede universale Anna Maria Bremio e istituii, nel medesimo rogito, il letto da incurabile, anzi ne raddoppiai il numero e la somma capitale; destinai pertanto Lire 10.000 per il mantenimento perpetuo dei due letti, riservandoli alle sole donne incurabili, preferibilmente residenti nella mia parrocchia, o in San Tommaso, o in San Lorenzo, o comunque vercellesi. Sempre riguardo all'assegnazione dei letti, inserii intenzionalmente una clausola contraria al regolamento dell'Ospedale, il quale escludeva dal ricovero a vita gli infermi non vedenti. Infatti, feci obbligo di accogliere, qualora lo avesse voluto, la figlia della mia erede Anna Maria, ovvero Maria Teresa Bremia, affetta da totale cecità. Aggiunsi al danaro la disponibilità dei miei beni posti nel territorio di Stroppiana, affinché il ricavato della loro vendita venisse dall'Ospedale impiegato come censo perpetuo, a titolo di dote di Lire 100 di Piemonte cadauna, per tante povere giovani vercellesi. Altre donne beneficiai nel mio testamento, lasciando loro i molti crediti che io avevo ancora in sospeso. Infine, predisposi ulteriori lasciti alle chiese cittadine di San Giacomo, Santa Caterina, Sant'Andrea e del Duomo, e agli ospedali torinesi dei Santi Maurizio e Lazzaro e della Carità. Il mio stato di salute andava peggiorando; il primo febbraio 1747 volli ancora, con apposito codicillo, precisare ed estendere a numerose altre persone i miei benefici. Morii il 2 febbraio 1747, all'età di 60 anni, presso la mia casa parrocchiale e fui sepolto nella mia chiesa di San Giacomo, per espressa mia volontà testamentaria. L'Ospedale recepì presto le mie disposizioni e fece stimare il patrimonio immobiliare di Stroppiana, che risultò di Lire 6.271. Circa tre anni dopo, nel 1750, commissionò il bel dipinto, che mi ritrae con il mio caro fratello, al pittore Giuseppe Tarchetti. Di lui alcune opere si possono ammirare nella sconsacrata chiesa di San Vittore, aperta in occasione di eventi culturali.
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Author | Città di Vercelli |
Organization | Città di Vercelli |
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