Ivana Mulatero "Il pittore delle more di Cairo"
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Ivana Mulatero curatrice della mostra "Il pittore delle more di Cairo" Eso Peluzzi Fondazione Bottari Lattes Figure, luoghi e cose in un respiro d’infinito nei dipinti dal 1912 al 1983...
show morecuratrice della mostra
"Il pittore delle more di Cairo" Eso Peluzzi
Fondazione Bottari Lattes
Figure, luoghi e cose in un respiro d’infinito nei dipinti dal 1912 al 1983
Da sabato 7 luglio a domenica 26 agosto 2018
Palazzo Tovegni, Via Adami 5 - Murazzano (Alta Langa, Cuneo)
Ingresso gratuito
www.fondazionebottarilattes.it
Mostra a cura di Ivana Mulatero
Organizzata da Fondazione Bottari Lattes
Orario mostra: venerdì e sabato 15 - 18; domenica 10-12 e 15-18
Ritrattista di stampo realista e venatura umanitaria, paesaggista lirico e sensibile, rarefatto e introspettivo nelle sue natura morte, Eso Peluzzi (1894 – 1985), si è mosso tra Liguria e Piemonte, dal secondo decennio del XX secolo fino agli anni Ottanta. A omaggiare la sua poetica e l’ampio ventaglio dei generi pittorici con cui si è confrontato (la figura, il paesaggio, la natura morta) nei dipinti realizzati tra il 1912 e il 1983, è la mostra Eso Peluzzi. Il pittore delle more di Cairo, aperta da sabato 7 luglio a domenica 26 agosto 2018 a Murazzano (Cn), organizzata dalla Fondazione Bottari Lattes, in collaborazione con il Comune di Murazzano, e curata da Ivana Mulatero, storica dell’arte e curatrice del Museo Civico Luigi Mallé di Dronero.
L’esposizione, il cui titolo fa riferimento al paese di nascita di Eso Peluzzi, Cairo Montenotte (Savona), e all’espressione usata dallo scrittore Giovanni Arpino per descriverlo, è allestita presso Palazzo Tovegni di Murazzano (via Adami 5), in Alta Langa, a pochi chilometri da Monchiero d’Alba, paese in cui l’artista ha vissuto e lavorato dalla fine degli anni Quaranta, facendo dell’antico Oratorio dei Disciplinanti il suo studio, ora Casa-museo a lui dedicata.
Eso Peluzzi. Il pittore delle more di Cairo è dedicata al corpus pittorico dell’artista, emblematica figura che ha vissuto nei crocevia geografici e culturali italiani tra la Liguria, il Piemonte e la Lombardia, con frequenti soggiorni formativi nel resto d’Italia e in Europa e con inviti alle Biennali Internazionali di Venezia e alle Quadriennali romane e torinesi, alle mostre del Museum of Art di Baltimora e al Jeu de Paume di Parigi.
«In questa esposizione che valorizza la fecondità espressiva di Peluzzi, che amava definirsi pittore delle cose semplici che fanno grande il mondo – spiega la curatrice della mostra Ivana Mulatero – si vuole evadere dal mito discreto di pittore delle Langhe, che per molti decenni ha connotato in maniera univoca la sua opera, provando a rintracciare le vicinanze, come anche le distanze, dalle molte avanguardie. Giova stare sul filo degli scambiprofessionali con i futuristi Farfa e Fillia, o ricordare l’amicizia fraterna con lo scultore Arturo Martini, senza perdere di vista che Peluzzi è stato conteso da galleristi del calibro di Pier Maria Bardi, compagno di affabulazioni degli scrittori Mario Soldati e Gina Lagorio, sostenuto dai critici d’arte Alberto Sartoris e Mario De Micheli, ammirato dai musicisti Uto Ughi e Salvatore Accardo e, non per ultimo, la sua casa accoglieva Sandro Pertini, settimo Presidente della Repubblica Italiana.
Dalle composizioni di figura vicine alla retorica del Novecento, al paesaggio di più personale respiro immerso negli umori della pittura francesizzante, dai disegni dalle linee onduleggianti tra Previati e Bistolfi, tra Medardo Rosso e Morbelli, fino ai quadri da studio con umili oggetti che raggiungono una metafisica rarefazione spaziale. I generi artistici, versanti molteplici nei quali si consuma l’esperienza di Peluzzi, rivestono il significato non meramente funzionale alle committenze o alle esigenze personali di indagine del mestiere, ma hanno più in profondità il valore di enunciare in modo problematico le scelte compiute in prossimità di una confluenza tra le soluzioni formali, il ricorso a strumenti e tecniche espressive tratte dalla tradizione e dalla contemporaneità, con le atmosfere di ricerca che hanno caratterizzato la storia dell’arte del Novecento».
La mostra è suddivisa in cinque sezioni, delle quali la prima (biografica) e l’ultima (sulle vanitas dei violini) si saldano secondo una traiettoria circolare, in una sintesi storica, poetica ed estetica che va dalle opere dei primordi e fino all’ultimo ciclo di dipinti, che hanno ritratto figure, paesaggi e nature morte.
Prima sezione: Il ragazzo delle more di Cairo.
Fa il punto su chi è stato Peluzzi, tratteggiando la sua biografia di artista e di uomo a tutto tondo, istrionico e affabulatore, riflessivo e appartato, attraverso le parole di chi lo ha conosciuto e mediante alcuni significativi autoritratti. In apertura di sezione, un inedito studio di nudo maschile del 1912, realizzato durante l’apprendistato all’Accademia Albertina di Torino, si accompagna a un dipinto del suo primo maestro, il cairese bohémienne Carlo Leone Gallo.
Seconda sezione: Fondigli umani e umana verità. La figura umana (ritratto, figura intera, gruppo) emerge fin dall’apprendistato accademico, affrontata con un realismo che sfiora un’evocazione intima della fragilità umana. Le figure sono state il soggetto anche di grandi cicli ad affresco di sapore novecentista, di cui in mostra si documentano le fasi preparatorie con bozzetti e disegni. Inoltre, l’ironia straniante con cui sono ritratti personaggi apparentemente normali, che sembrano posare per una foto ritratto e che indossano una maschera, quella per le feste di carnevale o quella per tutti i giorni, come attestano i dipinti Maschere di paese (esposto alla Biennale di Venezia del 1930) e Le sorelle Triaca.
Terza sezione: Angoli misteriosi del vivere. Il tema del paesaggio coglie i problemi di indagine sulla impalpabilità di una pittura divisionista di derivazione francese, con cui Peluzzi si è confrontato: gli spessori materici che ritraggono angoli del Piemonte e della Liguria, memori di una pittura paesaggistica di fine Ottocento; il frantumarsi del colore in una miriade di striature luminose, riflessi delle luci del divisionismo settentrionale; le influenze della linea liberty in alcuni disegni a carboncino. Il paesaggio, tra i vari generi pittorici, è quello che meno si lascia sfiorare dalla retorica novecentista, mantenendo un respiro personale e di relazione spirituale con i luoghi raffigurati.
Quarta sezione: Le apparenze dimesse del reale. La natura morta vale in filigrana per distillare gli umori della pittura da camera che si semplifica nell’impaginato fino a rendersi sottile come un foglio di carta illusorio. Il processo mentale di rarefazione e distillazione visiva della natura in posa diviene il canale attraverso il quale giungere alle nature morte con i violini del periodo conclusivo.
Quinta sezione: Atmosfere di memorie e le recondite armonie. L’ultima sezione intende raccogliere le vanitas dei violini, introdotte dal ritratto Mio padre liutaio, quadro dipinto nel 1928, in cui le fattezze paterne hanno una monumentalità da profeta biblico, appassionato di pittura e scultura, di filosofia e di mitologia, incline a plasmare i nomi dei suoi nove figli con la costellazione dei suoi riferimenti filosofici: Euro, Aglaia, Arione, Temi, Alceo, Argo, Etra, Tisbe ed Eso (divinità celtica della foresta di cui parlano Cesare, Lucano e Lattanzio).
Eso Peluzzi (Cairo Montenotte - Sv, 1894; Monchiero - Cn, 1985) è figlio di Giuseppe, liutaio, e di Placidia Rodino, fotografa ritrattista. Nel 1911 entra all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, allievo di Paolo Gaidano, Cesare Ferro e Giacomo Grosso e ottiene nel 1913 il primo premio per uno studio di nudo. Ritornato dalla guerra, nel 1919 si stabilisce nella frazione Santuario di Savona, dove rimane per trent’anni. Nel 1920 esordisce con una collettiva alla Società Promotrice delle Belle Arti di Torino, ma già nel 1924 tiene a Milano la sua prima personale presso la Galleria Bottega di Poesia. A partire dagli anni Venti, soggiorna spesso a Como, Assisi, Roma e Parigi. Dal 1926 al 1948 partecipa alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma, alle mostre italiane di Baltimora, Belgrado, Amburgo, Vienna, Lipsia, Budapest, Parigi, ottenendo numerosi riconoscimenti: nel 1935 il premio alla II° Quadriennale di Roma; nel 1939 il Premio Sanremo per il ritratto. Alla sua abilità pittorica, affianca una grande padronanza nella tecnica dell’affresco, in particolare, tra il 1936 e il 1938 lavora alle pareti della Sala consiliare del Comune di Savona. Nel 1948 si trasferisce a Monchiero, nelle Langhe, attorniato dalla stima di amici e intellettuali come gli editori Giulio Einaudi e Livio Garzanti, gli scrittori Guido Ceronetti e Italo Calvino, i critici Luigi Carluccio e Mario De Micheli. Nel 1963 è nominato Accademico di San Luca e riceve la cittadinanza onoraria dai Comuni di Montechiaro d’Acqui (1966) di Monchiero (1967), Savona (1971) e Torino (1979).
Numerose sono le esposizioni personali organizzate fino ad oggi nelle principali città italiane. Nel 2008 l’Azienda Pubblica di Servizi alla Persona Opere Sociali Nostra Signora di Misericordia di Savona ha aperto un museo permanente consacrato all’artista presso l’antico Ospizio dei Poveri del Santuario di N.S. di Misericordia.
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