parole in viaggio - puntata #14
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buonasera a tutti e bentornati sulle frequenze di Parole in Viaggio, la rubrica dedicata all’approfondimento di alcune parole che tutti i giorni usiamo ma di cui spesso trascuriamo la storia...
show moreoggi desidero soffermarmi su un’azione che quotidianamente eseguiamo: ogni mattina, appena scesi dal letto, inizia per noi una giornata caratterizzata da molti spostamenti, siamo chiamati a muovere le gambe e camminare. Il primo approfondimento riguarda proprio l’utilizzo del verbo camminare anziché alcuni suoi sinonimi, tipo deambulare o incedere. Merita un minuto di attenzione questo dettaglio perché una lingua come l’italiano per alcune parole ha deciso di trascurare l’importanza del latino scritto, per dare invece spazio alla tradizione orale. Nelle fonti romane altre parole ricoprono il significato di cammino, ambulatio, cursus, iter, ma nessuna di queste richiama l’usuale cammino. Infatti, la radice cam era propria di terre oltre il confine romano, o meglio tipiche di popoli come i celti conquistati durante l’impero. Ma perchè allora hanno scelto di accogliere tale parola in una forma non completa? Probabilmente perché i celti erano nemici, forse perché l’orgoglio è più forte della mera accettazione. In ogni caso i latini ci hanno lasciato questa eredità, accogliere il nemico come un in amicus, come un “non amico”. Alla fine, se ci pensiamo bene, nemico o non nemico, dentro questa parola è comunque contenuto il segreto dell’amicizia, una non amicizia parte dal presupposto che sia esistita prima un’amicizia. Quando l’essere umano sa di avere un nemico, sa anche di avere un non amico, sa che per alcune caratteristiche quella persona altra da sé non coinciderà con i canoni dell’amico. Per altre caratteristiche, molto spesso poche, probabilmente invece potrebbe anche essere amico. Sta sempre a noi valutare se dare maggior peso alle inclinazioni che non ci rispecchiano oppure alle qualità simili a noi. Alla fine è sempre una scelta personale, di ciascuno di noi, che di fronte ad un non amico è chiamato a domandarsi quale parte desidera assecondare. La storia ci insegna che sebbene noi ignoriamo l’altro e la sua cultura, rimarrà comunque impresso dentro di noi, resterà in ogni caso una parola anche se non è scritta, anche se semplicemente parlata, e quella parola soverchierà le sue simili, prenderà il loro posto e si insedierà nella vita quotidiana.
anche perché amico porta dentro di sé la medesima radice di amare, quando si parla di amico si parla di amore; quando si parla di nemico, di non amico, si parla di non amore: è umanamente possibile non amare completamente l’altro? ci sarà sempre un dettaglio che noi apprezzeremo, per quanto malvagio sia l’altro. E se proprio volessimo approfondire anche il concetto di malvagio, dal momento che per i più il nemico ricopre perfettamente tale aggettivo, ci sono un paio di interpretazioni etimologiche a riguardo: il latino malifatius, che richiama colui cha ha cattivo fato, un destino praticamente già proiettato verso la negatività; oppure altri storici lo collegano a male levatus, ovvero colui che è stato allevato male. In entrambi i casi è abbastanza evidente che colui che noi consideriamo malvagio, dal nostro punto di vista ha una strada ben delineata: per forza di cose finirà a fare del male, perché il suo destino è un essere cattivo e lo diventerà perché qualcuno a suo tempo lo ha allevato con uno stile negativo. Cosa possiamo aspettarci da un essere umano, da un non amico come questo? Nulla di più, a meno che noi per primi non iniziamo a cambiare punto di vista e considerare quello che di solito non vediamo, a usare parole che magari non sono ancora scritte nel dizionario ma che comunque sentiamo nostre. Il vero cammino inizia anche così, immaginare che anche un nemico possa essere amato, che anche un non amico possa comunque amarci, perché la sua malvagità altro non è che il frutto di un’educazione diversa dalla nostra e di un destino che lui da solo non potrà modificare.
Buon cammino a tutti noi...
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