Sabino Maria Frassà "Avrò sempre vent'anni 1968-2018"
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Sabino Maria Frassà "Avrò sempre vent'anni 1968-2018" “Avrò sempre vent’anni 1968 – 2018”, per riflettere sul passare del tempo e sul suo significato di essere giovani oggi a cinquant’anni dai...
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“Avrò sempre vent’anni 1968 – 2018”, per riflettere sul passare del tempo e sul suo significato di essere giovani oggi a cinquant’anni dai moti studenteschi del 68 e dalla morte di Lucio Fontana. Dal 1968 a oggi la società non sembra esser riuscita a rispondere al disagio giovanile, se non con altra inquietudine e incomprensione. Viviamo così in un loop socio-culturale di crisi di identità, tra non età e non ruoli. Sembra infatti che a partire da quegli anni sia diventato impossibile rinunciare ad avere vent’anni per tutta la vita.
Ma a quale costo?
Sabino Maria Frassà, che ha curato il volume, ha raccolto le riflessioni di Eugenio Borgna, Raffaella Ferrari, Stefano Ferrari, Sabino Maria Frassà, Chiara Saraceno, Nicla Vassallo e le ha affiancate e integrate con la spiegazione di oltre venti opere di arte contemporanea tratte dalla mostra “Avevo 20 anni” (Villa Bagatti Valsecchi di Varedo dal 15 al 30 settembre). Nel volume si possono quindi ritrovare le opere di artisti provenienti da tutto il mondo: Ivan Barlafante,Yuting Cheng, Alberto di Fabio, Francesco Fossati, Marta Galbusera, Daesung Lee, Giulia Manfredi, Franco Mazzucchelli, RytsMonet, Marcello Morandini,MariaTeresa Ortoleva,Noa Pane,FrancescaPiovesan, Diego Randazzo, Marika Ricchi, Zheng Rong, Andreas Senoner, Rob van den Berg, Maria Wasilewska.
“Avrò sempre vent’anni 1968 – 2018” risulta così essere “un libro illustrato per adulti”, “uno strumento per interrogarsi più che un volume di istruzioni”, così come spiega Sabino Maria Frassà, che l’ha ideato e curato.
La rivoluzione artistica di Lucio Fontana è alla base del volume “Avrò sempre vent’anni 1968 – 2018”. Come scrive Sabino Maria Frassà “L’arte di Fontana è l’emblema di una rivoluzione diversa, in grado di costruire e di andare oltre a ciò che era stato, senza rinnegarlo o distruggerlo… Il suo tagliare la tela – emblema stesso di tutta l’arte precedente – è stato sì una rivoluzione, ma una rivoluzione “genuina”, non spinta da alcun narcisistico intento di piacere, quanto dalla voglia di creare il futuro: “tutti hanno pensato che io volessi distruggere: ma non è vero io ho costruito, non distrutto”. In quei tagli non collassa infatti l’universo, ma passa la luce, l’infinito. Quello che colpisce oggi è che Lucio Fontana sia riuscito in questa rivoluzione in età adulta quasi senile (aveva 58 anni)… Merita infatti ripensare lo stereotipo per cui la creatività e la capacità di rivoluzionare la realtà siano proprie esclusivamente dei giovani e che siano condizionate negativamente dal passare del tempo. Non solo molti studi evidenziano l’infondatezza di tale generalizzazione, ma è facile comprendere come anche una facile intuizione creativa non sia sufficiente a cambiare la realtà. Sembra strano, ma per fare le rivoluzioni ci vuole tempo, altrimenti si corre il rischio di cambiare tutto per non cambiare nulla… Heidegger riteneva che la stabilità privi la presenza del suo carattere essenziale e non avendo – ancora – sconfitto i confini temporali dell’esistenza umana, siamo sicuri che questa smania di presente, di persistere giovani immobili e immutati non ci stia in fondo condannando all’oblio? All’assenza di futuro? Forse vivere l’instabilità determinata dal passare del tempo e il concedersi tempo per nascondersi, pensare, provare e sbagliare in modo autonomo sono la vera perversione rivoluzionaria oggi.”
Chiara Saraceno aggiunge che “Ci troviamo oggi di fronte al paradosso per cui i giovani sono considerati un gruppo di età particolarmente svantaggiato, per il quale la giovinezza sembra costituire un handicap, piuttosto che un vantaggio, nel mercato del lavoro, nell’accesso alle posizioni che contano, ed anche rispetto al riconoscimento delle capacità e competenze. Ma, allo stesso tempo, la giovinezza, idealizzata nei suoi aspetti di vigore fisico, corporeità attraente, competenza (e prima ancora abitudine) tecnologica, unite al ridotto peso delle responsabilità, a livello dell’immaginario è diventata l’età cui si vuole arrivare il prima possibile e rimanere il più a lungo possibile: una sorta di standard – sul piano fisico ma anche comportamentale – da mantenere anche quando si è girata la boa dei quaranta ed oltre”
Stefano Ferrari spiega come l’immagine interna che ognuno ha di sé sia “una sintesi percettiva della memoria o, meglio dell’impressione del nostro volto, la quale però deve assorbire e comprendere anche i contenuti ideali del nostro mondo interno – delle nostre aspettative, delle nostre aspirazioni, ma anche dei nostri timori e delle nostre fragilità. Essa è in realtà il corrispettivo visivo della nostra identità psichica e sociale… Il sessantottino continua a vedersi e sentirsi come tale, e fa certamente più fatica ad adattare l’immagine dei suoi vent’anni, così ricchi e così colorati di ideali, con l’immagine dell’adulto borghese (che magari è diventato), azzimato e ben vestito. “
Eugenio Borgna conclude la riflessione sulle cause della crescente inquietudine giovanile ricordando che “nelle inquietudini adolescenziali, nella loro insorgenza e nelle loro evoluzioni, siamo tutti imbarcati, la emblematica sfolgorante parola pascaliana, e siamo tutti chiamati a prenderne coscienza, e a ricercarne la diversa misura delle nostre responsabilità: quelle dominanti delle famiglie e delle scuole, e quelle che la vita indica a ciascuno di noi. Non è giusto, ed è troppo comodo, scaricare sugli adolescenti le responsabilità che non sono solo loro in un mondo che, in questi ultimi vent’anni, è divenuto sempre più arido, e narcisistico.”
Completano il volume due testi incentrati sui possibili sviluppi. Da un lato Nicla Vassallo esprime il suo pessimismo nel testo non a caso intitolato “Conoscere stanca. Dalla mancata rivoluzione dei giovani del ‘68 alla rivoluzione dell’assenza di conoscenza di oggi”. La filosofa ci invita a riflettere su come la società sia “diventata sempre più edonistica: forse stanchi di secoli di rivoluzione industriale, di stenti e di guerre, il “lavorare stanca” è stato assurto a modello nel suo fraintendimento più becero, secondo il quale si disprezza la conoscenza che non si possiede perché non si ha voglia di faticare per averla.”
Raffaella Ferrari esprime invece un cauto ottimismo su cosa potranno fare i giovani di oggi “I giovani sono depositari di un istinto della specie non condizionabile volontariamente che lavora sotto traccia e perciò vanno custoditi favorendo la cultura e la formazione di strumenti per affrontare la realtà. Agli adulti perciò il faticoso compito di essere genitori, ovvero di custodire (non di proteggerli a tutti i costi), dedicandosi a loro e testimoniando l’importanza degli affetti e dell’esempio. Le risposte scaturiranno – imprevedibili – come i fiumi carsici – e se nuovi paradigmi di sopravvivenza e sostenibilità saranno prodotti lo si dovrà a questa generazione a cui forse è stato dato proprio il compito della riparazione, della ricostruzione di relazioni e legami più solidali con un rinnovato e consapevole rispetto verso gli altri.”
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