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Il 14 gennaio 2021 si svolgono elezioni in Uganda, dopo 35 anni Museveni rischia di perdere un sistema di potere consolidato che sottrae risorse al paese, non ha ormai alcun...
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Il 14 gennaio 2021 si svolgono elezioni in Uganda, dopo 35 anni Museveni rischia di perdere un sistema di potere consolidato che sottrae risorse al paese, non ha ormai alcun rapporto con i cittadini di una nazione che attrae immigrati perché nell'area consente una sopravvivenza dignitosa, ma i bisogni sono ancora molti e gli ugandesi sono attrezzati culturalmente e ormai preparati a prendere il loro futuro in mano; sobillati da Bobi Wine, un rasta venuto dal ghetto e determinato a trascinarseli dietro tutti a valanga per travolgere il potere di Museveni a suon di musica e di verità negate che riaffiorano in parole e musica, in dimostrazioni e botte, in rivendicazioni e repressione... a cui la piazza risponde "People power, our power", come conclude la sua intervista Alex Kamukama, un sostenitore di Bobi Wine intervistato da Joe Harris il 17 dicembre 2020, che sta preparando un doc sull'Uganda e le sue elezioni.
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18 OCT 2024 · https://ogzero.org/tag/mozambico/
«Il clima politico è incerto e teso in Mozambico dopo https://www.africarivista.it/mozambico-urne-aperte-per-le-elezioni-presidenziali/236518/?srsltid=AfmBOopcyYdxoHBpmIfmUr72_s2PSqPF27TpZb2bukgVSYUFpZ-WAPzO. Il partito al potere, Frelimo, sembra essere in vantaggio, ma le accuse di frode elettorale, i risultati contestati e una bassa affluenza alle urne mettono in discussione la legittimità del processo elettorale», così scriveva "AfricaRivista" giorni fa; oggi, 18 ottobre si comincia a sapere come sia finita (spari sui manifestanti contro i brogli che assicurano la maggioranza dei seggi a Chapo), ma era scontato: avevamo sentito Federico Monica, africanista e urbanista, appena rientrato da Cabo Delgado, la regione del petrolio gestito da Total-Eni... e il Frelimo, partito al governo da 50 anni, salvaguarda gli interessi delle compagnie petrolifere, dunque se avesse ufficialmente perso, sarebbero saltati interessi globali intoccabili.
«Uomini e donne mozambicani, lunedì prossimo, 29 ottobre, scenderemo tutti in piazza per contestare questi risultati fraudolenti. Questo Paese è nostro, salviamo il Mozambico. Tutti i conteggi danno un vantaggio significativo a Podemos e Venâncio Mondlane, i numeri pubblicati sono completamente falsi», ha dichiarato il candidato dell’opposizione citato dai media locali.
L’ufficio del procuratore generale del Mozambico (Pgr) ha convocato nei giorni scorsi il candidato indipendente alle presidenziali Venancio Mondlane, accusato di aver violato la Costituzione e il codice elettorale annunciando risultati elettorali non verificati. Ma prima hanno fatto uccidere il suo avvocato.
https://www.africarivista.it/mozambico-candidato-dellopposizione-indice-una-manifestazione-nazionale/238581/
https://www.nigrizia.it/notizia/africa-oggi-podcast-elezioni-mozambico-mondlane-in-testa
https://www.africarivista.it/mozambico-tra-accuse-di-frode-elettorali-e-cambio-di-scena-politica/237662/
Così abbiamo chiesto a Federico cartoline dal paese che diano un'idea delle persone che lo abitano, i loro desideri e interessi, le formule economiche e culturali... e il petrolio. Infatti si è inquadrato Cabo Delgado e pure a chi serve il jihad e quali differenze ci siano con al-Shabab somalo; Federico ci ha tracciato un quadro completo della società e degli umori del paese lusofono che si affaccia sull'Oceano indiano e ci ha spinto a richiedere un intervento a Simone Ogno, attivista di ReCommon, professionista impegnato in cooperazione internazionale decentrata, con cui a partire dal progetto targato Total-Eni-Exxon, proprio nei bacini petroliferi di Cabo Delgado, abbiamo toccato un po' tutti i più importanti e nocivi luoghi di estrazione di gas e petrolio in particolare in Mozambico, ma anche in Nigeria e Congo Brazzaville... arrivando fino al Brasile di Lula.
L’analisi dal vivo, precisa e disincantata, di Federico sul paese e i suoi più consapevoli cittadini ci ha stimolati ad approfondire meglio la fonte economica su cui basa la propria esistenza il Mozambico. Lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi di Cabo Delgado è uno specchio solo minimamente deformato rispetto alle modalità di saccheggio perpetrato dalle grandi potenze petrolifere anche nel resto dell'Africa e non solo e per questo è risultata preziosa la lucida esposizione di Simone Ogno di ReCommon che ci ha portato attraverso lotte, campagne, denunce; progetti, corruzione, sfruttamento; sondaggi on e off shore, oleodotti e trivellazioni. Uccisioni e stragi, jihadismo e finanza.
https://www.recommon.org/campagna/no-al-gas-in-mozambico/
https://www.recommon.org/la-francese-total-era-a-conoscenza-di-potenziali-crimini-di-guerra-in-mozambico-il-suo-megaprogetto-di-gas-garantito-dallitaliana-sace/
https://www.atlanteguerre.it/la-sporca-storia-del-petrolio-nigeriano/
https://www.mediapart.fr/journal/ecologie/290924/au-nigeria-voyage-dans-le-feu-de-l-enfer-provoque-par-totalenergies-et-eni
https://www.editorialedomani.it/ambiente/gas-flaring-congo-eni-total-effetti-piogge-acide-problemi-respiratori-inchiesta-burning-skies-w69bnu00
https://www.mediapart.fr/journal/ecologie/300924/un-rapport-interne-prouve-les-ravages-de-totalenergies-au-congo-brazzaville
https://www.notiziegeopolitiche.net/congo-brazzaville-riprende-la-costruzione-delloleodotto-russo/
https://www.notiziegeopolitiche.net/congo-brazzaville-riprende-la-costruzione-delloleodotto-russo/
1 OCT 2024 · https://ogzero.org/regione/corno-dafrica/
La battaglia di Khartoum è in corso perché il governo di al-Burhan vuole riprendere la capitale dopo 9 milioni di sfollati, 150.000 vittime. 2,5 milioni di persone a rischio di morte per fame e colera: la «peggiore crisi umanitaria al mondo», dice l’ipocrisia diplomatica dell’Onu, espressa da Linda Thomas-Greenfield, ambasciatrice statunitense. Comincia dalla guerra atroce tenuta sullo sfondo dall’evidenza delle altre due, ma non meno efferata, l’intervento di Matteo Palamidesse.
Mentre la crisi si intensifica sulle sponde del Nilo nella capitale, il fronte più caldo della guerra distrugge la città di Al Fasher, nel Darfur settentrionale. Le Rsf di Hemedti spingono per conquistare l'ultimo centro urbano ancora in mano all'esercito regolare sudanese nella regione. E in Darfur si torna a parlare di genocidio.
Viene dunque sancita sempre di più la ulteriore divisione del paese, con le milizie Rsf, ex janjawid, a occupare – anche etnicamente imponendo l’arabizzazione – il Darfur e il governo a controllare il resto del paese; entrambi i contendenti impegnati a fare affari anche con gli stessi interlocutori, come l’accordo siglato per l’esplorazione e l’estrazione dell’oro tra il ministero dei minerali del Sudan e la società russa Zarubezhgeologiya. Oro e costruzione di porti in cambio di armi.
L’altra crisi che affligge l’area è la disputa che oppone Etiopia e Somalia in seguito al riconoscimento del Somaliland da parte di Addis Abeba in cambio del porto di Berbera; lo scontro si allarga, perché l’Egitto in contrasto con l’Etiopia per la Diga della rinascita, appoggia la Somalia, che già da decenni è terreno di rapina e di utilizzo da parte della Turchia e questo crea una serie di alleanze e scontri che finiranno con divenire teatri di molti focolai di guerra interna al Corno d’Africa, perché lo scontro diretto tra il potente esercito egiziano, che considera lo spazio tra Suez e Aden come propria zona d’influenza, e la potenza etiope dominante nella regione sarebbe troppo esiziale per tutti.
Su tutto questo aleggia un ulteriore sanguinoso conflitto quello dei jihadisti di al-Shabaab in contrasto anche con la potente sede dell’Isis stanziata in Puntiland.
28 JUN 2024 · https://ogzero.org/studium/nairobi/
La fragranza del cambiamento passa attraverso l’effluvio dei lacrimogeni, l’acre odore del sangue, l’amaro delle lacrime per i reali più di 50 morti; ma tutto questo corollario fa da sfondo terribile a una ribellione massiccia della giovane popolazione keniana, confluita in piazza attraverso Tik-Tok, mobilitandosi contro una legge finanziaria ispirata dal Fmi per l’emissione di obbligazioni che ripianino il debito di uno dei pochi paesi dell’Africa orientale ancora in area occidentale. E Ruto si era illuso di spalmarlo sui ceti più poveri aumentando tasse su pane, pannolini, carburante… generi di prima necessità pagati da tutti – d’altronde lo avevano votato i ceti più poveri, ma il suo sponsor principale era la lobby mafiosa della finanza del Monte Kenya –, gli slum lo avevano votato perché non affiliato ai partiti storici, non appartenente a etnie da sempre al potere, come la dinastia Kenyatta, o quella dell’ottuagenario Odinga. La Generazione Z, preparata, colta e determinata, si è stufata e anche il dietro-front di Ruto, che ha ritirato la legge che era stata votata proprio il giorno in cui i ragazzi hanno preso d’assalto il parlamento e i senatori hanno dovuto fuggire dai sotterranei; il giorno in cui la feroce polizia keniota sparava proiettili veri ad altezza d’uomo e la sera faceva retate preventive, Ruto fuggiva in elicotero e ritirava la legge, ma riprendendo comunque il dialogo con il Fmi per riformularla in modo diverso. E allora i keniani sono rimasti in piazza e hanno continuato a chiedere le sue dimissioni… Freddie del Curatolo vive e lavora nel paese da molti anni e in questi giorni ha seguito le proteste da molto vicino: lo abbiamo sentito reduce dalle manifestazioni e ci ha potuto fare un quadro preciso delle molte sfaccettature del movimento e delle sue istanze.
6 MAY 2024 · https://ogzero.org/regione/sahel/
Il diversificante riposizionamento della disincantata regione subsahariana
Ormai da qualche anno la centralità del Sahel nei giochi geopolitici segna scosse recepite in Occidente soprattutto perché si registra un ricambio multipolare del vecchio colonialismo e un rivolgimento del neocolonialismo successivo all’indipendenza dei primi anni Sessanta nei singoli paesi. Di qui deriva il preoccupato interesse delle potenze mosso dal bisogno di spartirsi le ricchezze del territorio.
Abbiamo chiesto a Edoardo Baldaro di aiutarci a fare il punto nel momento in cui gli attuali vertici militari di un paese come il Niger che è stato per decenni partner fedele per francesi e americani nel controllo del territorio, ha invitato i loro eserciti a portare via truppe e mezzi (lasciando che il contingente italiano prosegua il suo lavoro di addestramento all’interno della missione Misin, percepito come diversamente pervasivo della autonomia militare rispetto alla potenza coloniale principale – la Francia – o l’egemone statunitense e il suo approccio di War on Terror in seguito all’Undici Settembre), l’appoggio esterno alla lotta al jihadismo abbiamo visto già altre volte che è stato affidato a quella che era la Wagner e ora è l’Africa Corp russo. Contemporaneamente si affaccia l’interesse dell’Iran per l’uranio prima appannaggio di canadesi e francesi, delineando il quadro dei diversi schieramenti. Ma se si analizza utilizzando occhiali africani quella stessa scena appare diversa: il transito di truppe o gli accordi stracciati e stipulati a Niamey – ma vale anche per Bamako, Ouagadougou, N’Djamena – sono questioni riguardanti il confronto tra potenze straniere, che poco interessano al nuovo approccio delle attuali élites governative del Sahel, che vanno estendendo la loro influenza anche nei paesi limitrofi, cominciando a delineare una sorta di evoluzione di carattere decolonialista “disincantato”, dove il panafricanismo è macchiato di sovranismo: infatti si riscontra soltanto nel fatto che è comune a tutti la pulsione ad affrancarsi dall’influenza globalizzante considerando ininfluente quale potenza straniera si consideri preminente nella regione, ma il percorso è identitario per ogni singola nazione e si esprime con caratteristiche diverse in ciascun paese, benché si assista ad alleanze e resistenza comune tra Burkina, Mali, Niger e vedremo con la tornata elettorale odierna – con candidati fintamente rivali – se anche il Ciad completerà la svolta della regione, caratterizzata comunque da una continuità interna ai paesi di perseguire ciascuno i propri interessi e i propri traffici con le potenze multilaterali.
Una di questi corsi e ricorsi è quello dei flussi migratori che vede dalla notte dei tempi Agadez come snodo essenziale di traffici di droghe, merci e esseri umani e la cancellazione a novembre della legge del 2015 che impediva la gestione del mercato migratorio, riavvia una sorta di economia essenziale per il paese. Ed è proprio il tema che interessa al governo Meloni e al suo Piano Mattei. Intanto Usa e Francia si stanno ridislocando con maggiore presenza nei paesi costieri (Costa d’Avorio, Togo, Benin, Ghana), dove si sta allargando la rivolta jihadista. Mentre il Senegal si può ergere a modello di istituzioni e Costituzione che reggono democraticamente e fanno argine agli uomini forti grazie alla mobilitazione della società civile (e a un esercito non versato a sostenere golpisti).
12 APR 2024 · Il 15 aprile la Guerra in Sudan compie un anno di indifferenza internazionale.
L’angoscia nella voce di Matteo Palamidesse, che ci raggiunge nell'anniversario dell'esplosione della guerra in Sudan tra l'esercito di Abdel Fattah al Buhran e le Forze di supporto rapido di Mohamed Hamdan Dagalo detto Hemetti, dà la cifra dell’emergenza umanitaria che attanaglia il paese nel disinteresse della diplomazia internazionale e nell’assenza di immagini mediatiche riservate agli altri conflitti in corso, che coinvolgono maggiormente i bianchi caucasici abitanti di zone protette preoccupati del proprio benessere: Francia, Gran Bretagna, Usa e UE hanno appena sancito a Oslo che «non esiste una soluzione militare al conflitto», ma si sono guardati bene dal frapporsi e l'Onu ha preso una sola risoluzione in tutto l'anno di stragi, stupri, milioni di profughi, devastazioni e distruzioni. Lunedì 15 aprile è convocata a Parigi una conferenza internazionale per discutere delal crisi umanitaria, ma il processo di democratizzazione che si era avviato prima del golpe dopo la cacciata di al-Bashir non potrà riprendere per lungo tempo. E i sudanesi sono stremati, con problemi legati alla sopravvivenza e impossibilitati a liberarsi della cruenta disputa del potere dei due contendenti e dei loro clan.
E mentre il Sudan si avvita in una spirale di violenza e di alleanze straniere, che riforniscono di armi, si confrontano su terreno africano (ucraini con Buhran e russi con Hemetti), si prenotano per il saccheggio e l'occupazione di porti sul mar Rosso, la Somalia si trova di fronte a sfide, provocazioni, velleità di secessione: sia con la concessione locale del Somaliland – da decenni in lotta con Mogadiscio – di porti all'Etiopia, sia nelle richieste di indipendenza della regione più ricca e meglio organizzata: il Puntland, che richiede almeno una costituzione condivisa. Con Matteo cominciamo da qui per allargare il grandangolo a tutto il Corno d’Africa, cercando speranze di umanità in situazioni diversamente disperate.
23 MAR 2024 · Il mosaico nordafricano rimodulato dal vento del Sahel
https://ogzero.org/regione/sahel/
Non solo gli interessi coloniali rendono geopoliticamente sensibile il sistema africano, ma è la società stessa che – come sessant’anni fa avvertì i venti di emancipazione, trasformandoli in indipendenza – anticipa e fa da laboratorio per i rivolgimenti globali di questo scorcio di millennio, portando a compimento prima che altrove le rivoluzioni epocali prodotte dai conflitti in corso a diversi livelli di intensità.
La domanda, che ci siamo posti e prontamente girato ad Alessio Iocchi, è se quanto sta succedendo negli ultimi mesi in Sahel, con l’ultimo colpo di teatro operato da Niamey ai danni del contingente militare americano nello snodo strategico di Agadez, faccia parte di quella svolta storica che pare innescata dalla defrancesizzazione dello stesso Niger, oltre a Burkina e Mali; e se sia estendibile a tutti gli interessi del campo occidentale: sullo sfondo l’uranio appetibile dall’Iran, i massacri etnici nascosti dietro le manovre antijihadiste, l’Afrika Korps al posto di Wagner e Barkhane.
Altra questione è se il Senegal potrebbe essere contagiato dopo il confronto elettorale così controverso del 24 marzo – e il contenzioso sul quale ha dimostrato come quella senegalese sia ancora una società in grado di difendersi dai tentativi di svolte autoritarie –, oppure è più facile che avvenga in un paese anglofono ed estesissimo, diviso confessionalmente e tribalmente, come la Nigeria con periodiche emersioni di Boko Haram. Le figure di Macky Sall e Ousmane Sonko appaiono stagliate sullo sfondo di una retorica non completamente descrivibile nei suoi contorni se si deve trovare una mediazione nel paese e quanto ancora della retorica panafricanista entra nel dibattito elettorale.
Inoltre ci è parso interessante cercare di comprendere il ruolo dei militari nella regione saheliana e la differenza tra quelli degli anni Sessanta postcoloniali e l’attuale funzione dell’esercito e a chi rispondono; questo consente di cogliere i rivolgimenti di alleanze esterne al continente e anche le rese dei conti all’interno dei singoli paesi. Sottolineavamo anglofono, perché nel discorso si innesta anche il discorso sulla vernacolarizzazione della comunicazione che tralascia sempre più le lingue coloniali, regionalizzando sempre più gli sviluppi di eventi correlati, cercando di superare la riproposta delle elite coloniali in tempi postcoloniali.
2 MAR 2024 · https://ogzero.org/regione/grandi-laghi-africani/
Un’altra delle guerre private dell’attenzione delle coscienze coloniali – sviate da minacce nucleari zariste, un genocidio perpetrato dall’unica democrazia mediorientale, rotte commerciali in mano a pirati alieni – si sta nuovamente svolgendo in Congo, alla sua periferia più ricca: nella zona dei Grandi Laghi, e in particolare si va estendendo nel Kivu e Ituri. E poi anche nel resto del corpaccione congolese? Non avendo superato dopo trent’anni il dramma delle stragi contro i tutsi, ma, accorpandola e incancrenendola, si ripropone.
Giovanni Marco Carbone ci ha aiutato a sbrogliare l’intreccio della matassa dei rapporti tra Ruanda e Congo sullo sfondo della predazione delle risorse congolesi da parte dei tutsi del Ruanda a trent’anni dal genocidio; e questo va collocato in un’area dove la presenza di decine di milizie armate nasce dal senso di minaccia avvertito dal regime di Kagame per le presenze nella provincia di Goma di profughi e responsabili delle stragi del 1994 e contemporaneamente dei focolai di resistenza dal basso di villaggi, abbandonati dal potere centrale di Kinshasa a migliaia di chilometri e messi sotto dall’M23, la milizia filoruandese, potentissima.
Il tutto nell’assoluta inefficienza e disinteresse del resto del mondo, con Minusco che sta ammainando bandiere e abbandona il campo, portando via i suoi 15.000 uomini. Anche l’espressione del dissenso è conculcata dal potere centrale di Tsishekedi (che si sforza di reintegrare la regione nel paese) e dalla guerra, che vede la partecipazione di molti protagonisti continentali… e alla finestra gli altri. Si rischia di assistere a una Terza guerra mondiale africana? Carbone ritiene che guerre tra nazioni africane sono sporadiche, più spesso l’escalation stessa risucchia gli stati a farsi guerra su uno stesso territorio e sempre congolese.
Le multinazionali fanno comunque affari con chiunque, ma è complesso e tutti i protagonisti in qualche modo mettono le mani sulle risorse, ma prediligono sicurezza e stabilità e quindi non sguazzano nelle situazioni di conflitto, perché rendono difficili procurarsi forza lavoro, assicurare sicurezza alle maestranze, poter usufruire di infrastrutture funzionanti, dunque difficilmente proviene dal capitalismo e dallo sfruttamento predatorio la necessità di accendere il conflitto.
Carbone ci richiama anche a guardare sì allo spostamento verso i porti dell’Atlantico l’attenzione, ma senza dimenticare che Kinshasa è entrata negli organismi che regolano l’Africa orientale, guardando alla regione dell’East African Community, che vede scambi proprio con l’area del Kivu (ottenendo supporto per la sicurezza, che poi è risultato irrisorio e perciò sono entrati in campo i sudafricani).
17 FEB 2024 · https://ogzero.org/temi/governance/colonialismo/
Quella gettata dall'ambizione presidenziale di Darmanin è una bomba ad orologeria che scaricata su Mayotte (l'isola delle Comore dove il referendum indipendentista aveva visto gli autoctoni pretendere di rimanere francesi) può scoppiare sull'Esagono e creare molti problemi ai migranti francofoni.
Tutto sta a vedere se il grimaldello a 8000 chilometri spazzerà via un "droit du sol" (ius solis in latinorum) in vigore dal 1515, istituito da un altro Francesco I (de Valois). Darmanin nasce sarkozysta e cerca di ripercorrere i suoi passi, facendosi traghettare da ministro degli Interni all'Eliseo, risultando di destra con i contenuti di Le Pen.
Abbiamo chiesto a Giovanni Gugg, che ha seguito per “https://www.focusonafrica.info/mayotte-francia-il-governo-vuole-abolire-lo-jus-soli/” la vicenda fin dal precedente episodio di repressione poliziesca con sgomberi e abbattimento di baracche di lamiera con lo scopo – tutto mediatico – di contrastare l'immigrazione illegale... stavolta si tratta di impedire a poche donne (rispetto alla quantità di perpere già stanziali a Mayotte da più di 2 anni) di dare alla luce "francesi" perfetti e finiti, seppure non originati da lombi pallidamente gallici. Un modo palesemente pretestuoso di individuare un'eventuale breccia nel sistema di diritti che dall'altro lato sostenevano l'idea di impero con i Territori d'Oltremare a tutti gli effetti territori del colonialismo francese... e rinunciarvi è anche un po' riconoscere che esce dalla presidenza Macron un po' ammaccata, tanto vale ottenere la distruzione dei diritti della Révolution Française.
7 FEB 2024 · https://ogzero.org/regione/sahel/
Quali progetti politicoi-economici in Africa occidentale?
Afrika Corps è evocativo di Rommel, un’altra volpe del deserto di cui è stata presa la pelliccia; il Franc Cfa sempre meno scambiato, con i Brics che aspettano il cadavere della valuta; sgretolamento della Françafrique, che continua strenuamente a tentare di mantenere avamposti in Africa occidentale… ma due eventi stanno cambiando in una sorta di sfida che può cambiare riferimenti globali nell’area del Golfo di Guinea e del Sahel, e quindi anche interessi tutelati e sistemi politici. Da un lato si è parlato qui – giovedì 1° febbraio 2024 – con Edoardo Baldaro dell’uscita dei tre paesi ribelli dell’Ecowas (o meglio Cedeao), immaginando che il prossimo momento di confronto tra i paesi della regione che fanno parte dell’organismo africano che sta compiendo il mezzo secolo fosse uno dei due paesi più consistenti del Cedeao: le elezioni in Senegal che dovevano tenersi in questo mese e invece Macky Sall ha spostato a dicembre, dopo aver incarcerato tutti gli oppositori in un golpe parlamentare. A posteriori, dopo aver registrato l’intervento di Edoardo Baldaro ci chiediamo se l’uscita di Mali, Burkina e Niger dal Cedeao non abbiamo accelerato le operazioni del fantoccio di Parigi a Dakar per anticipare una solta nelle urne che poteva pesare sugli equilibri già così precari dell’Africa occidentale. Sappiamo che Edoardo ribadirà come ha fatto in questo podcast che non si può prescindere nel giudizio dalla considerazione dei potentati locali e di quale scelta operano in questo momento di riposizionamento e che vede i tre regimi militari lanciare segnali (di af”franca”mento) ai vicini. Bisogna però considerare ancora l’impatto sulle popolazioni: sia dell’effetto dello sfilamento dalla Cedeao a Bamako, Niamey, Ouagadougou sulle migrazioni e i movimenti transfrontalieri e sui traffici delle risorse saheliane; sia della svolta pushiste a Dakar, che forse ha avuto timore che le figure che evocano Sankara in Burkina possano trovare in Sonko un emulo, e queste figure trovano riscontro soprattutto tra i giovani di tutta la vasta area transnazionele compressa anche dal potere decennale detenuto dalle corrotte e tiranniche generazioni precedenti, compromesse con le “democrazie” occidentali, il loro orientalismo e il loro monetarismo vs. dipendenze da altri.
Approfondiremo presto quello che sta avvenendo in Senegal.
28 DEC 2023 · https://ogzero.org/regione/grandi-laghi-africani/
Una settimana fa si sono svolte le elezioni e il giorno in cui chiudevano forse tutte le urne – e alcune erano state devastate prima dell'apertura – abbiamo registrato questo preciso e informato parere di Giovanni Gugg... eppure non si sa ancora nulla di preciso, se non alcune reazioni esasperate per i consueti brogli, le violenze della polizia... un 27 dicembre non di tutto riposo per i giochi di potere se si approfondisce il dato sugli scontri del 27.
Le elezioni congolesi 2023 sono interessanti non tanto per il risultato scontato e che ancora a una settimana dall'apertura delle urne non si conosce, quanto perché contribuiscono a fornire il quadro delle pulsioni e delle divisioni interne ed esterne all'enorme territorio difficilmente controllabile da Kinshasa; i molti candidati sono eterogenei, ma non riescono a coagulare attorno a loro un consenso generale da intaccare il sistema di potere di Tsisekedi. Tranne a posteriori, unanimi a condannare i brogli e la organizzazione delle votazioni; questo già prima era uno dei motivi del contendere, tanto che alcuni comitati elettorali trovavano sede fuori dai confini congolesi, a dimostrazione di come attorno al corpaccio nazionale gli interessi dei vicini (Uganda, Ruanda, Kenya...) sono così invasivi da dare ospitalità a un candidato legato all'M23... Le difficoltà sono enormi e la disorganizzazione ha dato luogo a vandalismo in certe zone che sono estromesse dalla partecipazione (Ituri e Kivu, tutta la zona nordorientale con le tensioni rinfocolate da Ruanda e Uganda). E va considerato anche il ruolo regionale della Tanzania, che ha sbocchi e aperture autonome verso l'Asia che conta efunge da contraltare positivo alle difficoltà del Congo, che ha più chance scegliendo la costa atlantica, attraverso l'Angola.
Bisogna considerare le centinaia di milizie, ma anche le intromissioni dei paesi vicini, però queste tensioni esterne si riverberano nella società interna, nella frammentazione religiosa, nel rifuggire da schieramenti dei musicisti di riferimento.
I candidati erano 24, apparentemente grande fermento, ma senza reale entusiasmo, se non per quello che rappresenta il dietro le quinte che è il vero paese, che in un gioco di specchi restituisce una rappresentanza attraverso questi 22+2(uccisi). Compresi i gruppi alternativi de la Lucha a Goma che rappresentano davvero istanze condivise, ma distanti dalla possibilità di entrare nei giochi di potere (per fortuna, forse).
Il 14 gennaio 2021 si svolgono elezioni in Uganda, dopo 35 anni Museveni rischia di perdere un sistema di potere consolidato che sottrae risorse al paese, non ha ormai alcun...
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Il 14 gennaio 2021 si svolgono elezioni in Uganda, dopo 35 anni Museveni rischia di perdere un sistema di potere consolidato che sottrae risorse al paese, non ha ormai alcun rapporto con i cittadini di una nazione che attrae immigrati perché nell'area consente una sopravvivenza dignitosa, ma i bisogni sono ancora molti e gli ugandesi sono attrezzati culturalmente e ormai preparati a prendere il loro futuro in mano; sobillati da Bobi Wine, un rasta venuto dal ghetto e determinato a trascinarseli dietro tutti a valanga per travolgere il potere di Museveni a suon di musica e di verità negate che riaffiorano in parole e musica, in dimostrazioni e botte, in rivendicazioni e repressione... a cui la piazza risponde "People power, our power", come conclude la sua intervista Alex Kamukama, un sostenitore di Bobi Wine intervistato da Joe Harris il 17 dicembre 2020, che sta preparando un doc sull'Uganda e le sue elezioni.
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